Nelle intercettazioni dell'inchiesta che ha portato a 15 arresti, il presunto boss di Ventimiglia Giuseppe Marcianò parla di "mandati di cattura" in arrivo. Dalle carte emerge il coinvolgimento di un giudice e di un uomo delle forze dell'ordine, ma gli accertamenti sono in corso. Tanti i casi simili, anche al Nord
“Qua devono arrivare tre mandati di cattura, capito? Che cazzo ci devono fare a noi, non abbiamo fatto niente” lamenta Peppino Marcianò, il presunto capo della ‘ndrangheta di Ventimiglia, in provincia di Imperia, arrestato lunedì scorso. Che si dimostra perfettamente a conoscenza dell’attività investigativa dei magistrati. Talpe. Uomini delle Forze dell’Ordine e della magistratura che decidono di passare dalla parte opposta. Un fenomeno ormai frequente anche nella inchieste di mafia al Nord. Non fa eccezione l’ultima operazione su mafia e politica che ha investito il Ponente Ligure.
Il contatto più “alto in grado”, ma ancora avvolto nel mistero, sembra essere quello con un magistrato genovese, a cui Marcianò “consiglia” di devolvere “10 mila euro”. Un personaggio che, secondo il gip Massimo Cusatti, estensore dell’Ordinanza, non sarebbe contiguo all’associazione, ma “semplicemente” corrotto e “pronto a vendere i propri servigi all’acquirente di turno”. Già il Presidente del Tribunale di Imperia, Gianfranco Boccalatte, e il suo autista, Giuseppe Fasolo, sono stati condannati in primo grado a tre anni e otto mesi il primo, e a tre anni il secondo, per corruzione in atti giudiziari e millantato credito. In questa operazione non emerge un rapporto diretto con Marcianò, ma in una intercettazione il presunto boss di Ventimiglia viene sentito consigliare a uno dei suoi di rivolgersi all’autista di Boccalatte, “per ottenere … la cessazione anticipata della sorveglianza speciale”.
I rapporti con le forze dell’ordine nel Ponente Ligure sono tali che il gip Cusatti gli dedica un intero capitolo. “Se non era per lui – spiega Vincenzo Marcianò parlando di un poliziotto – mi facevo vent’anni. Mi dice tutto”. L’agente in questione viene “identificato nell’ispettore della P.S Palermo Salvatore, in forza alla Polizia di Frontiera di Ventimiglia”, non indagato. Di lui gli affiliati parlano spesso, ma facendo un po’ di confusione e in una conversazione viene indicato con il grado di “luogotenente”. Questo ha portato gli investigatori a pensare a un carabiniere. “In realtà – scrive il Gip – il pm propende decisamente per la prima ipotesi” dal momento che in una conversazione viene fatto riferimento a una parentela che risulta riscontrata.
“Sai chi ho visto l’altro giorno? Palermo… – racconta Omar Allavena, vigile urbano di Vallecrosia che si vanta di “fottere” le munizioni d’ordinanza per il clan – m’ha visto e m’ha abbracciato”. E di rimando Vincenzo Marcianò, figlio di Francesco “Ciccio” Marcianò, primo vero boss di Ventimiglia, che alla sua morte ha lasciato lo scettro al fratello Peppino: “Guarda che quello, eh… si faceva radiare… Guarda, per mio padre si buttava nel fuoco… si comporta non bene, benissimo, sempre come si deve nei nostri confronti”. Il riferimento alla radiazione riguarda il processo disciplinare che l’ispettore Palermo ha effettivamente subito, accusato di aver partecipato al funerale di Ciccio Marcianò e vinto in seconda battuta.
Nelle parole di Vincenzo Marcianò, Palermo risulta una figura fondamentale per il clan, come quando al confine lasciava passare i loro furgoni senza controlli. Oggi il suo compito sarebbe quello di tenerli aggiornati sullo stato delle indagini: “Vedi che per te non c’è niente, ma dicci a tuo zio Peppino di aprire gli occhi, di non fare telefonate, di non parlare con nessuno, che è controllato a vista”, racconta Vincenzo allo zio, dopo essere stato chiamato in Questura, dove Palermo non lo aveva baciato per la presenza delle telecamere.
Altra persona sulla quale possono contare i Marcianò è Luigi Nilo, in forza alla Guardia di Finanza di Ventimiglia. In questo caso il legame è dato dalla parentela, in quanto Nilo è il genero di Vincenzo. Scrive il Gip: “Il quadro che ne emerge è quello di una preoccupante commistione di interessi pubblici e privati, in cui le parentele e l’esercizio di funzioni pubbliche di repressione dei reati, si condizionano a vicenda”. E sulla linea della preoccupante commistione di interessi si muove anche Oronzo Giannotte, padre di uno dei finanzieri incaricato di controllare la Marvon, la cooperativa in capo ai Marcianò, che chiede una raccomandazione proprio a loro, per la domanda di trasferimento presentata dal figlio.
Non è la prima volta che in Liguria emergono presunte relazioni fra esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine e le ‘ndrine. Nel marzo scorso era successo con l’operazione Carioca, che aveva portato in carcere Antonio Fameli e gettato ombre sull’operato di Vincenzo Scolastico, procuratore aggiunto della Dda di Genova (nonché coordinatore di quest’ultima indagine).
Funzionari dello Stato infedeli emergono anche da diverse inchiesta antimafia in Lombardia. Tra le persone che devono essere giudicate a breve nel processo “Infinito”, celebrato con rito ordinario, compare Michele Berlingeri, ex carabiniere in servizio presso il gruppo Radiomobile di Rho. Le indagini hanno dimostrato inoltre che erano al corrente in anticipo delle mosse degli investigatori gli esponenti del clan Valle-Lampada – due i magistrati coinvolti nell’inchiesta – e i Barbaro di Buccinasco, in provincia di Milano.