I maiali di Orwell avrebbero accolto con grugniti di giubilo la decisione della Consulta.

La Corte Costituzionale nella sua storia si è raramente distinta per affermare i diritti civili, per rendere la giustizia più efficiente, e tanto meno per arginare lo strapotere dello stato e della burocrazia contro i cittadini, soprattutto in materia fiscale. Tanto per dirne una, ha snaturato l’articolo che prevedeva la copertura finanziaria delle leggi di spesa. Sul contenzioso tributario consente che decida non un giudice terzo, ma i tirapiedi dell’Agenzia delle Entrate.

Sui referenda tradizionalmente accoglie pedissequamente i desiderata della casta, come avvenuto nel 2011 con la richiesta di abrogazione del Porcellum, e, in anni ormai lontani, con quelli proposti dai radicali. Tutti i quesiti sgraditi al Palazzo vengono cassati sistematicamente dalla Consulta con arzigogoli degni di Ghedini e Alfano. Laddove il Palazzo è spaccato come nel caso delle leggi ad personam berlusconiane, escogitano soluzioni cervelloticamente salomoniche. In definitiva si tratta di un consesso prono a lasciare inalterati gli equilibri di potere, troppo permeabile alle influenze politiche e occasionalmente inquinata da rapporti incresciosi, come messo in luce dalle indagini sulla P4.

Negli Usa la nomina di un giudice della Corte Suprema è un processo su cui si concentra per settimane l’attenzione dell’opinione pubblica e i candidati vengono scrutinati in modo talora crudele in pubbliche sedute parlamentari. Le decisioni della Corte Suprema sono spesso dirompenti, demoliscono i compromessi politici, definiscono diritti (ad esempio sull’aborto in America non esiste una legge, ma solo una famosissima sentenza costituzionale), segnano un’epoca. In Italia i giudici costituzionali sono degli individui senza volto, di cui pochi conoscono i meriti e ancor meno conoscono le inclinazioni dottrinarie e le fedeltà. Sono amici degli amici nominati senza alcun vaglio pubblico, in spartizioni negoziate nei retrobottega romani.

C’è solo da sperare che la sentenza costringa l’opinione pubblica a tirar su quelle saracinesche chiamate palpebre e rendersi conto di quali conseguenze incombono per le dosi omeopatiche di democrazia ancora riscontrabili in Italia, in questa fase di passaggio di consegne dal compare di Dell’Utri al capo di Penati.

Con il Porcellum che piace tanto agli oligarchi (anche con le varianti con cui ci si balocca in Parlamento) il capo di un partito scelto da un terzo dei votanti (che considerate le percentuali di astensione in Sicilia rappresenterebbe ad essere ottimisti un quinto degli aventi diritto al voto) potrebbe avere in mano la maggioranza in Parlamento, il governo, eleggere il Capo dello Stato, eleggere i Presidenti delle due Camere, e poi a seguire tutte le Authorities (fintamente indipendenti), la Rai, le imprese maggiori del paese. Con il tempo il dominio si estenderebbe al CSM e, dulcis in fundo, alla Corte Costituzionale.

I 15 giudici della Consulta infatti vengono scelti per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle magistrature ordinaria e amministrativa. Il mandato dei giudici dura nove anni e almeno sei di essi, nominati dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, dovranno essere rinnovati entro il 2015, quindi nei primi anni della prossima legislatura. Per cui il capo partito avrebbe un’influenza inusitata sia sul governo che sugli organi di controllo costituzionali. Come accadde con lo Statuto Albertino, la Carta Costituzionale verrebbe svuotata. Non è successo dopo la vittoria di Berlusconi nel 2008 solo per un caso fortuito: infatti il Presidente della Repubblica era stato eletto nella breve finestra di tempo in cui la sinistra aveva rosicchiato la vittoria alle urne e ha arginato (flebilmente) le ubbie autoritarie.

La nostra Costituzione è stata concepita per un assetto parlamentare proporzionale dove la scelta dei candidati e delle cariche più alte non è demandata a un uomo solo al comando. Con una legge elettorale sproporzionatamente maggioritaria l’impianto di pesi e contrappesi, su cui si fondano le libertà e i principi costituzionali, si sfascia malamente. Dopo aver anelato alla rottamazione della casta sarebbe davvero un tragico epilogo dover assistere alla rottamazione della democrazia.

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