“Cornuti e mazziati”. Dal Guatemala dov’è tornato proprio ieri Antonio Ingroia non usa giri di parole per commentare la sentenza della Consulta che ha accolto il ricorso di Napolitano. “Zagrebelsky aveva ragione: le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto: da quello che ho letto finora questa sentenza mi pare una specie di grosso pasticcio”. Per Ingroia si tratta di una sentenza “già scritta” da tempo: “Ho provato un’amarezza profonda quando sentivo dire da persone autorevoli come Zagrebelsky che la sentenza della Corte Costituzionale era già scritta, non volevo crederci – dice – pensavo che in uno stato di diritto la consulta decidesse sulla base del diritto e non sulla base di opportunità istituzionali. Il tenore del comunicato stampa diramato stasera dalla consulta dice invece che si è fatta una scelta di politica del diritto piuttosto che di regolamentazione del diritto”.
Una sentenza che ha prodotto “un paradosso”: “La corte oggi ci dice – prosegue Ingroia – che avremmo dovuto chiedere che le intercettazioni fossero rese pubbliche ordinando al gip di distruggerle senza depositarle. Ma il gip se guarda alla legge sa che non le può distruggere se non le deposita, quindi il gip avrebbe dovuto per forza depositare quelle intercettazioni che sarebbero finite sui giornali. Non so se era questo l’obbiettivo della corte e di Napolitano. Altra cosa se la Corte avesse detto stasera che in base all’ordinamento bisogna meglio tutelare la privacy del presidente e che quindi da ora in poi ci dovremo comportare in un certo modo. La sentenza in questo caso avrebbe avuto valore di legge, sarebbe stata condivisibile ma non paradossale. Questa sentenza invece è paradossale perchè suggerisce una prassi che ci obbliga di fatto a rendere pubbliche le intercettazioni, dopo averci esposto all’onta di un conflitto di attribuzione. Oggi siamo cornuti e mazziati”.
E adesso che succede? “Ora aspettiamo le motivazioni – conclude Ingroia – poi sulla base del dispositivo si attiverà la procedura. Bisogna aspettare per vedere come è scritta la sentenza. La verità è che aveva ragione Zagrebelsky: la Corte non poteva dare torto al capo dello Stato, le ragioni della politica non potevano non prevalere sulle ragioni del diritto”.
Da Il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2012