Da Pd e Pdl plauso unanime alla decisione che dà ragione al presidente della Repubblica nel conflitto d'attribuzione. Anche l'Anm attacca il pm di Palermo che ha parlato di decisione "politica". Il ministro Cancellieri: "Siamo contenti". Violante: "Certi magistrati hanno perso la lucidità"
E la Procura di Palermo resta (quasi) sola. La sentenza della Corte costituzionale che dà ragione al Quirinale nel conflitto d’attribuzione sollevato a proposito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia riceve un plauso generalizzato, dal Pdl al Pd passando per l’Associazione nazionale magistrati e il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. E mentre l’ex magistrato d’assalto Luciano Violante accusa i pm di Palermo di aver “perso la lucidità”, la presa di posizione più netta in loro favore arriva da quel che resta dell’Italia dei Valori.
Sommersa dalle critiche, in particolare, l’affermazione di Antonio Ingroia, il coordinatore dell’inchiesta sulla trattativa, che ha bollato come “politica” la decisione della Consulta sullo status giuridico delle intercettazioni telefoniche che hanno coinvolto il presidente della Repubblica. ”Attribuire alla decisione del massimo organo di garanzia costituzionale un significato politico è impossibile e del tutto fuori luogo”, è la posizione dell’Associazione nazionale magistrati. “La Corte per indipendenza e autorevolezza dà ogni garanzia”, ha rimarcato il presidente Rodolfo Sabelli a margine di un’audizione alla Camera. “Quindi – ha concluso – non si può parlare di decisione politica, né intendere il conflitto in termini di contrapposizione tra poteri dello Stato”.
L’Anm era già intervenuta subito dopo l’uscita dei giudici della Consulta e Sabelli aveva già avuto modo di affermare che con la sentenza “non si riapre nessuna guerra tra politica e magistratura”, perché “il conflitto tra poteri va inteso solo nella sua terminologia tecnico-processuale”. La Procura di Palermo, spiega Sabelli a Il Mattino, “non ha mai messo in dubbio che si trattasse di intercettazioni destinate alla distruzione. Si discuteva delle forme processuali di tale distruzione”.
Il ministro Cancellieri, in missione a Bruxelles, a proposito della sentenza ha rilasciato una dichiarazione breve e netta. “E’ una cosa molto bella e molto attesa. Siamo molto contenti”. Sempre sul fronte istituzionale, sulla stessa lunghezza d’onda il vicepresidente del Csm Michele Vietti: “La Corte costituzionale è una delle massime istituzioni della Repubblica, la sua autonomia e indipendenza non possono essere messe in discussione da nessuno, in particolare da chi ricopre incarichi pubblici”, ha affermato rispondendo a una domanda sul giudizio espresso da Ingroia.
Una presa di distanza arriva anche dal diretto superiore di Ingroia, il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo: ”Le opinioni del dottor Ingroia sono opinioni del dottor Ingroia, io non qualifico le sentenze”, ha affermato a Radio24. Le sentenze “sono atti di giustizia e come tali vanno accolte e rispettate ed eseguite, ovviamente nel momento in cui se ne conosce per intero il contenuto”. Messineo precisa anche che l’indagine sulla trattativa, che ha portato a giudizio 12 imputati tra politici, boss e ufficiali delle forze dell’ordine, “non ha nulla a che vedere con il conflitto, sono due fatti assolutamente indipendenti”.
Chi difende apertamente il magistrato palermitano è l’Italia dei valori, che in un’apposita conferenza stampa lancia una campagna in suo favore – con l’indirizzo email ‘iostoconingroia@gmail.com’ e il sito ‘www.iostoconingroia.com’ – “contro la campagna diffamatoria de Il Giornale ai danni del pm”. Le telefonate dell’ex ministro Nicola Mancino agli uffici del Quirinale restano “un fatto gravissimo”, afferma Antonio Di Pietro. Di Pietro annuncia un imminente ddl per colmare il “vuoto normativo” alla base della decisione della Consulta.
“In questa vicenda viene fuori un eccesso di personalizzazione delle indagini”, attacca invece Luciano Violante su Il Messaggero. “Forse alcuni dei magistrati inquirenti, pur essendo dotati di alta professionalità, hanno avuto la sensazione di costruire non un processo ma un capitolo della storia italiana. Il processo rivelerà se le accuse sono fondate, ma quella sensazione li ha portati a perdere lucidità, a non vedere i limiti costituzionali nell’azione della pubblica accusa”.