Caro Beppe Grillo,
sono molto sorpreso dal tuo intervento sull’Ilva di Taranto, intitolato “Ilva in tre mosse” (lo incollo in coda a questo messaggio).
Al punto 2 scrivi: “Riprendere la produzione di acciaio dopo la bonifica”.
La fai semplice e se le cose del mondo fossero così semplici saremmo a cavallo. Anche Clini dice questo. Ritengo che formule così banali sono solo fumo negli occhi.
Confondi le bonifiche con la messa a norma degli impianti e non ti documenti se sia reslistico “mettere a norma” la più grande acciaieria d’Europa con le sue ciminiere che sovrastano le scuole elementari.
E’ nato qualche settimana fa un bambino con un tumore alla prostata. A tre giorni dalla nascita i dottori si sono accorti che qualcosa non andava. Non basta solo risarcire. Queste cose non devono accadere.
Noi non possiamo più fare scommesse a Taranto sulla testa dei tarantini. E forse e’ il momento di una virata coraggiosa che dia alla città altre e nuove prospettive.
Occorrerebbe – prima di lanciare soluzioni a mio parere semplicistiche – confrontarsi con la società civile tarantina e i movimenti che da tempo hanno elaborato un’altra piattaforma per superare definitivamente a Taranto l’economia dell’acciaio e dei veleni. Abbiamo studiato a fondo il problema e posso dirti che quello che hai scritto è distante da quello che occorre fare, è sbagliato e irrealistico, oltre che inutilmente oneroso per lo Stato per quanto concerne la nazionalizzazione.
Con questo tuo intervento dai fiato a chi illude la popolazione e i lavoratori che possa esserci un futuro pulito per uno stabilimento che – bada bene – non ha più futuro su mercato globalizzato e non è intrinsecamente ecosostenibile perché malato di gigantismo e viziato da difetti strutturali di origine.
Con questo intervento – forse non lo sai – sconfessi lo stesso Movimento 5 Stelle locale. Non voglio appesantire questa replica con studi e dati scientifici e che in questi anni abbiamo tradotto e diffuso presentandoli nell’ambito della procedura di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Mi limito solo a sottolineare che l’area a caldo – lo dimostra l’esperienza di Genova – è incompatibile con la presenza di una centro abitato a poca distanza.
Sono proprio autorevoli studi scientifici e le stesse perizie della magistratura che rendono quanto mai azzardato sostenere una proposta di “ritorno all’acciaio” come la tua. Non è tecnicamente fattibile e non ci sono i margini economici per fare una simile operazione. L’area a caldo viene chiusa ovunque nel mondo civile se essa è accanto alle case. Persino a Pechino in occasione delle Olimpiadi hanno fatto sloggiare le acciaierie che producevano (come a Taranto) a ridosso del centro abitato.
Ci sono cose che prima o poi vanno fatte e lo stesso Regio decreto del 1934 – bada bene – imponeva di confinare le industrie insalubri (fra cui classificava quelle di produzione di ghisa e acciaio) isolate nelle campagne e lontane dai centri abitati. Negli anni del boom economico – e non solo a Taranto – si sono fatte scelte assurde che oggi vanno radicalmente riviste. Nazionalizzare non basta e non serve. Un errore rimane un errore, anche se nazionalizzi.
Ti chiedo di rivedere la tua posizione e di non confondere il risanamento degli impianti con le bonifiche, le quali riguardando non gli impianti ma i terreni e la falda. Le bonifiche del suolo – e non mi sembra di coglierlo nel tuo intervento – sono sono la vera “grande opera” su cui concentrare le priorità e l’attenzione per la rinascita di Taranto, imitando la virtuosa esperienza della bonifica della Ruhr, un bacino che è rinato grazie al turismo, alla cultura e a un’intelligente decontaminazione dei suoli e riqualificazione paesaggistico-ambientale.
A te, di cui apprezzo lo slancio sincero, e al tuo movimento chiedo di sostenere la nostra lotta per dare a Taranto un futuro completamente diverso, senza ciminiere e senza veleni, bonificando ambientalmente e moralmente una città martoriata dai veleni e dalla malapolitica.
Questo non e’ il momento di proporre dall’alto soluzioni di poche righe, scritte male e in fretta. Questo e’ il momento di lanciare una grande campagna nazionale perché il decreto Monti-Clini-Napolitano sull’Ilva di Taranto non venga convertito il legge in quanto intende fermare non solo la Procura di Taranto ma tutte le procure d’Italia che indagano sui disastri ambientali e possono porre sotto sequestro impianti pericolosi per la salute pubblica.
Questo e’ il momento di difendere la Costituzione violata e di sostenere tutti i comitati italiani che si battono per la salute e le loro città. Un decreto che tolga alla magistratura il potere di sequestrare e bloccate impianti cancerogeni e velenosi e’ lì, in Parlamento. Va bloccato. Subito. In nome del diritto alla vita e alla salute. In nome delle speranze e delle proposte dell’Italia pulita, moralmente pulita. Caro Beppe Grillo, agiamo adesso, e uniamoci in nome dei comuni sentimenti che animano l’Italia migliore, quella non intercettata, non intrallazzata e non rassegnata.
Con amicizia
Questo e’ il post di Beppe Grillo
Per risolvere la questione dell’ILVA bastano tre mosse:
1 – risanare gli impianti utilizzando il più possibile la manodopera impiegata negli impianti che nella sua totalità sarà comunque stipendiata da Riva
2 – riprendere la produzione di acciaio dopo la bonifica
3 – far sostenere a Riva ogni spesa medica per le persone ammalate e risarcire le famiglie dei morti a causa dell’inquinamento.
Nel caso Riva si rifiuti di contribuire gli verranno espropriati i capitali necessari, l’eventuale differenza per coprire i costi sarà sostenuta dallo Stato. L’Ilva sarà quindi messa all’asta e, in mancanza di offerte private accettabili, nazionalizzata.