Sono più di 5 mila gli operai Fiom e gli studenti delle scuole superiori e universitari che hanno invaso il centro di Bologna dalle prime ore della mattina. Diversi i cortei, partiti da differenti punti della città (piazza di Porta Saragozza, piazza XX settembre, piazza S.Francesco, piazza Verdi) per confluire sotto le due Torri e gridare al governo e agli altri sindacati, “che oggi non vogliamo nemmeno nominare”, “che hanno trasformato l’Italia in un paese di vecchi lavoratori e giovani precari. Ma le cose devono cambiare”.
Oltre 6.000 operai metalmeccanici hanno sfilato lungo i viali, scegliendo come aprifila uno striscione condotto da sole donne, che recitava: “Diritti sul lavoro”. “Quei diritti – spiega il segretario regionale delle tute blu, Bruno Papignani – che il contratto firmato ieri da Federmeccanica, Cisl e Uil, in spregio alla democrazia e verso coloro che lottano per un equo accordo nazionale, vuole eliminare. E lo fa tagliando, di fatto, la certezza dei minimi contrattuali e concedendo alle imprese mano libera sugli orari”.
Altissima l’adesione in Emilia Romagna allo sciopero annunciato dalle tute blu, con una media che si aggira attorno all’80%, e picchi che hanno raggiunto il 100%. Alla Lamborghini hanno incrociato le braccia il 75% dei lavoratori, alla Ferrari il 50%, l’80% alla Bonfiglioli riduttori, 100% alla Bredamenarinibus e alla Ducati Moto. Solo per citare alcune delle centinaia di fabbriche regionali bloccate dalle manifestazioni.
“La situazione è insostenibile – racconta Susy, operaia alla 3F Filippi di Pian di Macina – continuano ad alleggerire le nostre buste paga e nessuno fa nulla per tutelare l’occupazione. Noi a giugno rischiamo di rimanere senza lavoro e siamo in 70 persone. Famiglie con un mutuo da pagare e bollette che diventano sempre più gravose. Io sono vedova, ho dei bambini, e non so più come andare avanti”.
“Questo contratto è inaccettabile, la Fiom che rappresenta la maggioranza dei lavoratori non solo non ha firmato, ma non era nemmeno presente – continua Maria Trabatti, lavoratrice della Romaco, a Rastignano – stanno cercando di introdurre il modello Marchionne in tutte le fabbriche italiane, prendendo decisioni che pesano sulle nostre teste senza nemmeno consultarci. Questa non è democrazia, questo non è un paese democratico”.
Il corteo ha sfilato fino a Porta Lame, bloccando il traffico cittadino, per poi deviare verso il centro e incontrare gli studenti medi in Piazza Ravegnana, sotto le due Torri. Che poco prima, giunti davanti a Bankitalia in piazza Carducci, avevano sistemato diversi sacchi colmi di spazzatura decorati con scritte contro il governo e le sue iniziative. Dalla giustizia ad personam alla scelta di devolvere fondi alle scuole private, ai tagli alla sanità.
Lì, più di 500 ragazzi provenienti da 11 istituti cittadini, in corteo contro il ddl Aprea “che spalanca le porte delle nostre scuole ai privati, che vogliono insegnarci a essere sfruttati”, si sono uniti ai metalmeccanici, “perché senza istruzione non troveremo lavoro, e senza il lavoro non esiste democrazia”. “Dobbiamo lottare uniti – ha detto dal palco Giacomo Gualandi, studente del liceo Minghetti e presidente della Consulta regionale degli studenti – perché i lavoratori e gli studenti sono la maggioranza reale di questo paese. Governato da un gruppo di persone che ci stanno togliendo ogni diritto, loro che non sono nemmeno stati eletti dal popolo”.
“Se non scendiamo in piazza oggi – spiega una studentessa del quinto anno delle Aldini Valeriani –domani saremo al posto di questi lavoratori, schiacciati dal precariato, dalla cassa integrazione, dalla disoccupazione e dalle tasse”. “Berlusconi ci ha sbattuti a terra, Monti ci ha dato il colpo di grazia” hanno gridato i 6.000, “vogliamo una scuola pubblica, laica e antifascista”.
Sul palco si sono susseguiti diversi interventi, è c’è anche chi ha voluto portare la testimonianza dell’Emilia terremotata, quella “stanca delle promesse delle istituzioni”, che aspetta gli aiuti “che non arrivano, e intanto vive in container ed è disoccupata”. Il sisma di maggio, racconta un lavoratore residente nel modenese “ci ha lasciato dentro il vuoto. È difficile spiegare cosa si prova a dover scappare quando i muri ti crollano addosso e non sai se i tuoi compagni ce la faranno a lasciare l’azienda prima che questa ti seppellisca. Io mi sono rifugiato sotto a una scrivania, mi sono salvato, ma per superare quel terribile momento noi emiliani abbiamo bisogno di una casa, e di un lavoro. Invece il governo ha dimostrato di non saper gestire un’emergenza simile, e a dicembre, come regalo di Natale, ci troveremo una busta paga vuota. Perché ci chiedono i contributi, e ce li chiedono tutti in una volta, azzerando i nostri stipendi”.
“Chiederemo al presidente della Repubblica e ai candidati per la presidenza del consiglio, una legge perché nelle fabbriche i lavoratori possano votare un contratto condiviso da tutti – ha detto dal palco Papignani – E se vorranno nostro voto dovranno impegnarsi a scriverla”.