Antonio Di Pietro ha capito che in politica serve l’avversario. I guelfi e i ghibellini si alimentano reciprocamente, nel grande gioco della comunicazione. Consapevole, il leader dell’Italia dei Valori ha lanciato la petizione on line Io sto con Ingroia. La si trova sull’omonimo sito, che riporta l’hashtag Twitter per cinguettare a riguardo. È la risposta web al quotidiano Il Giornale, accusato di «una vergognosa campagna diffamatoria nei confronti di Antonio Ingroia».
A me non sorprende che la stampa berlusconiana abbia attaccato il magistrato. Si è trattato di un colpo politico, riprovevole o meno, inaccettabile o legittimo.
Finché si resta sul piano del linguaggio, non esiste il pericolo d’una degenerazione della democrazia, bell’e morta col Porcellum. Silvio Berlusconi ha ridotto il discorso politico a slogan, battute e provocazioni. La parola è dunque scaduta: opinabile, vuota e assieme inutile. Il Cavaliere ha fatto scuola: maestro di promesse tradite, impulsività verbale e formidabili corbellerie. I suoi l’hanno copiato per bene e la controparte s’è piuttosto adeguata, presa dall’impeto di annunciare propositi e direzioni smarriti poi al volo.
Finora la politica è stata ossessione di comunicare: novità, pulizia e altre rotte. Tra il dire e il fare non c’è mai stata corrispondenza, ferme restando le cose buone delle parti. Per esempio la sconfitta del nucleare e del legittimo impedimento da un lato, il coraggio dell’obiettività dall’altro; qui alludo alla rinuncia della deputata Angela Napoli, ex An, a una destra contraddittoria e perduta.
Il problema sorge, invece, quando si truccano le carte, quando si usa la maggioranza per riscrivere le regole del gioco, quando l’esercizio del potere si tramuta in pressione per degli scopi personali. Ciascuno, nel merito, prenda l’esempio che vuole.
A questo punto, la domanda è semplice: a che cosa serve un sito per solidarizzare con Ingroia, offeso dal Giornale?
Probabilmente estemporanea, l’unica risposta, se il quotidiano di Berlusconi è funzionale alle cause del proprietario, è che Di Pietro intenda rilanciarsi col sostegno elettronico a Ingroia. Infatti, le ‘botte’ di Vincenzo Maruccio, di Marylin Fusco e dei vari fuoriusciti hanno prodotto un calo verticale dell’Idv, stando ai sondaggi. La strategia non mi sembra efficace, però. E credo che Di Pietro non abbia potuto meditare sulle ragioni profonde della crisi del suo partito; nel quale speravano l’indipendente Salvatore Borsellino, portavoce di una viva eredità antimafia, e le Agende rosse, testimoni di un grande bisogno di giustizia senza tessere o bandiere.
Inoltre, Di Pietro starebbe provando a catapultare Ingroia nell’arena politica. Il che sarebbe un errore madornale, se la vicenda Why not-De Magistris ha insegnato qualcosa e se davvero c’è un interesse diffuso per la verità sulla «Trattativa Stato-mafia». Per delegittimare il lungo, difficile e rischioso lavoro della Procura di Palermo, non solo di Ingroia, basta buttarla in politica. E questo Ingroia lo sa molto bene.