In occasione della presentazione a Roma del 46esimo rapporto annuale, il presidente dell'associazione spiega: "Si è vissuta la “crisi delle sedi della sovranità” esautorate dall’impersonale potere dei mercati, ma la società italian ha reagito con tre grandi spinte alla sopravvivenza facendo leva sulla “restanza”, sulla differenza e sul riposizionamento"
L’Italia ha superato la prova della “sopravvivenza”, ma rimane forse anche più profonda la separazione tra paese e istituzioni, tra società e politica. Questo l’aspetto messo a fuoco dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, in occasione della presentazione a Roma del 46esimo rapporto annuale.
Per il Censis si chiude un anno in cui è stato centrale il problema della sopravvivenza, che non ha risparmiato nessun soggetto della società, individuale o collettivo, economico o istituzionale. Un anno segnato dalla “paura” di fronte a “eventi estremi” di portata globale, come la speculazione internazionale, la crisi dell’euro, lo spread e il pericolo di default. Un anno in cui si è vissuta la “crisi delle sedi della sovranità” esautorate dall’impersonale potere dei mercati.
Di fronte a questa crisi, istituzioni politiche e soggetti sociali si sono ritrovati come “separati in casa”. Le reazioni, infatti, sono state tra loro parallele. Da un lato, le istituzioni politiche si sono concentrate con rigore sulla fragilità dei conti pubblici e della nostra credibilità finanziaria internazionale, sulla riduzione delle spese, le riforme settoriali, la razionalizzazione dell’apparato pubblico. Dall’altro lato, i soggetti economici e sociali sono rimasti soli con le loro affannose strategie di sopravvivenza, anche scontando sacrifici e restrizioni derivanti dalle politiche di rigore. Questa divaricazione può generare poteri oligarchici, da una parte, e tentazioni di populismo, anche rancoroso, dall’altra.
Il paese ha avuto bisogno di uno scatto di discontinuità rispetto ai precedenti modelli di comportamento, pubblici e privati, per ricalibrare i pregiudicati rapporti con i partner europei, le autorità comunitarie, i regolatori dei mercati finanziari globali. Ma i soggetti sociali non si sono sentiti coinvolti dall’azione di governo, perché sospettosi che alle strategie tecnico-politiche non seguisse un’adeguata implementazione amministrativa e organizzativa, e perché restavano in attesa di una proposta di percorso comune, più che di richieste di adesione a improbabili cambi di mentalità e di comportamenti. A questo proposito De Rita cita Aldo Moro, sottolineando che non si è prodotto uno “sviluppo fatto da governo e popolo”.
La società italiana, infatti, ha reagito con tre grandi spinte alla sopravvivenza, facendo leva sulla “restanza”, sulla differenza e sul riposizionamento. Si è così prodotto il divario tra società civile e politica, tra popolo e istituzioni: da una parte le impegnative politiche di vertice volte ad allineare il sistema al rigore predicato e perseguito dalle più influenti sedi di potere europeo; dall’altra, milioni di persone impegnate a sopravvivere da sole alla crisi, con un’intima tensione a cambiare attraverso processi di riposizionamento.
Di qui la reazione di “rabbia” dei cittadini rispetto alla crisi della politica. Il crollo morale della politica e la corruzione sono ritenute le cause principali della crisi: lo pensa il 43,1% degli italiani. Segue il debito pubblico legato a sprechi e clientele (26,6%) e l’evasione fiscale (26,4%). La politica europea e l’euro vengono dopo (17,8%), così come i problemi delle banche (13,7%). Il sentimento più diffuso tra gli italiani in questo momento è la rabbia (52,3%), poi la paura (21,4%), la voglia di reagire (20,1%), il senso di frustrazione (11,8%). Le paure per il futuro sono innanzitutto la malattia (35,9%) e la non autosufficienza (27%), poi il futuro dei figli (26,6%), la situazione economica generale (25,5%), la disoccupazione e il rischio di perdere il lavoro (25,2%).
Lo “slittamento etico”. Il 74% dei cittadini europei è convinto che la corruzione sia un problema grave nel proprio Paese, ma in Italia la percentuale sale all’87%. Il 47% degli europei ritiene che negli ultimi tre anni la corruzione sia aumentata, ma in Italia tale percezione sale al 56%. Il 46% degli italiani, contro il 29% della media Ue, afferma di essere stato colpito personalmente dalla corruzione nella propria vita quotidiana. Secondo un’indagine del Censis, per la maggioranza degli italiani in futuro aumenteranno i comportamenti scorretti per fare carriera (lo pensa il 64,1%), l’evasione fiscale (58,6%), le tangenti negli appalti pubblici (55,1%) e la mercificazione del corpo (53,2%).
Il doppio tsunami della crisi economico-finanziaria e del crollo di reputazione delle forze politiche e istituzioni ha investito tutta la classe politica della seconda repubblica. Nell’ultimo anno i partecipanti a iniziative di protesta contro la politica sono stati il 4,1% della popolazione (fra i giovani la quota sale al 13%). Questa forte disponibilità dell’opinione pubblica all’indignazione e alla mobilitazione “contro” per il Censis si iscrive nel contesto più generale di crisi delle democrazie rappresentative che attraversa gran parte delle società europee, ma assume in Italia caratteri più radicali e una diffusione più consistente.