Giunto alla 46ª edizione, il rapporto fa emergere l’analisi e l’interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Settori analizzati: la formazione, il lavoro, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza
Sono 2,5 milioni le famiglie che hanno venduto oro o altri oggetti preziosi negli ultimi due anni, 300.000 famiglie quelle che hanno venduto invece mobili e opere d’arte. L’85% ha eliminato sprechi ed eccessi nei consumi, il 73% va a caccia di offerte e alimenti poco costosi. Queste sono solo alcune delle difese strenue degli italiani di fronte alla persistenza della crisi; a cominciare dalla messa in circuito del patrimonio immobiliare posseduto, affittando alloggi non utilizzati o trasformando il proprio in un piccolo bed&breakfast (nelle grandi città, con oltre 250.000 abitanti, il fenomeno riguarda il 2,5% delle famiglie). E ancora: sono 2,7 milioni gli italiani che coltivano ortaggi e verdura da consumare ogni giorno, 11 milioni si preparano regolarmente cibi in casa, come pane, conserve, gelati. Anche nei consumi si registra una discontinuità rispetto al passato; il 62,8% degli italiani ha ridotto gli spostamenti in auto e scooter per risparmiare sulla benzina, nel periodo gennaio-settembre 2012 il mercato dell’auto registra il 25% di immatricolazioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e c’è un boom delle biciclette: più di 3,5 milioni di due ruote vendute in un biennio.
E’ quanto emerge dal 46esimo rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del paese presentato oggi nella sede romana del Cnel dal direttore Giuseppe Roma e il presidente Giuseppe De Rita.
Secondo il Censis gli italiani hanno affrontato una crisi definita “perfida” come quella iniziata lo scorso anno facendo leva su tre grandi spinte di sopravvivenza. La prima è stata il fare perno sulla “restanza” del passato, per riprendere e valorizzare ciò che resta di funzionante del nostro tradizionale modello di sviluppo: il valore dell’impegno personale, la funzione suppletiva della famiglia rispetto ai buchi della copertura del welfare pubblico, la centratura sulla prossimità nella quale si sviluppano le relazioni cruciali, la solidarietà diffusa e l’associazionismo, la valorizzazione del territorio come dimensione strategica di competitività del sistema.
La seconda spinta è stata la crescente “valorizzazione della differenza” e la voglia di personalizzazione: esempi ne sono il politeismo alimentare, con combinazioni soggettive di cibi e anche di luoghi ove acquistarli, senza tabù, neutralizzando ogni passata ortodossia alimentare; la moltiplicazione dei format di vendita, con la forte crescita degli acquisti online, la diffusione di siti web con offerte low cost e di gruppi di acquisto solidale; la personalizzazione dell’impiego dei media, sia per la fruizione dei contenuti di intrattenimento, sia per l’accesso alle fonti di informazione, secondo palinsesti multimediali “fai da te”, autogestiti, svincolati dalla rigida programmazione delle grandi emittenti; la miniaturizzazione dei dispositivi tecnologici, la proliferazione delle connessioni mobili, l’esplosione dei social network, grazie ai quali diventano centrali la trascrizione virtuale e la condivisione telematica delle biografie personali.
La terza spinta è stata data dai processi di “riposizionamento”: esempi ne sono il riorientamento dei giovani verso percorsi di formazione tecnico-professionale dalle prospettive di inserimento lavorativo più certe, la rinnovata vitalità di pezzi del tessuto produttivo (le cooperative, le imprese femminili, il settore Ict e le applicazioni Internet, le start-up nell’alta tecnologia e le green technologies), l’espansione della distribuzione organizzata e delle attività di commercio via web, l’aumento delle quote di mercato dell’Italia nelle aree emergenti del mondo grazie a specializzazioni produttive diverse dal tradizionale made in Italy, il cambiamento del modello di internazionalizzazione grazie a un di più di strategia che si è tradotto in un aumento degli investimenti in partecipazioni all’estero.
Cambia il consumo anche grazie alle nuove tecnologie.
Il 14,9% degli italiani è iscritto a gruppi di acquisto online che offrono beni e servizi a basso costo. E nelle decisioni di spesa alimentare il 42% considera molto importanti le informazioni sulla provenienza dei prodotti, collocandole al primo posto tra i fattori che orientano la decisione di acquisto. Il responsabile familiare degli acquisti è soprattutto donna (66,5%), uomo nel 43,9% dei casi al Nord-Est. La casa-patrimonio resta assolutamente maggioritaria nelle scelte degli italiani, ma le necessità contingenti stanno rivalutando l’affitto. Nel 2011 la quota di famiglie in locazione ha raggiunto il 21% e nelle aree metropolitane la percentuale sfiora il 30%. Nel trasporto privato si sta diffondendo la logica del noleggio e del car sharing. Diminuisce la quota di famiglie che hanno più di un’automobile (dal 33,4% al 32,1% tra il 2010 e il 2011), il fatturato dell’industria del noleggio si attesta sui 5 miliardi di euro (+2,2% tra il 2010 e il 2011) e il numero degli addetti è in crescita (+3,2% nel periodo 2010-2011 e +3,3% nel primo trimestre del 2012 rispetto al primo trimestre del 2011).
Nuove ambizioni nelle scelte di studio e di lavoro.
Col prolungarsi della crisi e dei suoi effetti sull’occupazione e sul benessere delle famiglie, cominciano a emergere segnali di riposizionamento dei giovani rispetto alle scelte di studio e di lavoro. Nel corrente anno scolastico è aumentato dell’1,9% rispetto all’anno precedente il peso delle preiscrizioni agli istituti tecnici e professionali. Le immatricolazioni all’università sono diminuite del 6,3% e i dati provvisori relativi al 2011-2012 segnano un’ulteriore contrazione del 3%. La crisi ha evidenziato come la laurea non costituisca più un valido scudo contro la disoccupazione giovanile, né garantisca migliori condizioni di occupabilità e remuneratività rispetto ai diplomati. I giovani si indirizzano allora verso percorsi di inserimento lavorativo meno aleatori, dai contorni professionali più certi: tra il 2007 e il 2010 i corsi di laurea di tipo umanistico-sociale (i gruppi letterario, insegnamento, linguistico, politico-sociale, psicologico) subiscono nell’insieme una riduzione del loro peso percentuale sul totale delle immatricolazione di più del 3% (passano dal 33% al 29,9% del totale), mentre i percorsi a valenza tecnico-scientifica (i gruppi agrario, chimico-farmaceutico, geobiologico, ingegneria, scientifico) registrano un +2,7% (la loro quota passa dal 26% al 28,7%). I giovani che hanno deciso di completare la loro formazione superiore all’estero sono aumentati del 42,6% tra il 2007 e il 2010. Con un significativo sacrificio delle famiglie: nell’ultimo anno il 30,3% ha sostenuto costi aggiuntivi scolastici, il 21,5% per un figlio senza lavoro, il 16,1% per un figlio che frequenta una università italiana e il 5,6% per una università straniera.
La riorganizzazione all’estero del sistema d’impresa
Il manifatturiero ha subito un restringimento della base produttiva: il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi. Il saldo tra iscritte e cancellate è stato pari a -30.023. Emerge però un processo di riposizionamento in corso. I flussi dell’export italiano sono parzialmente cambiati, orientandosi verso le economie emergenti: tra il 2007 e oggi la quota di esportazioni verso l’Unione europea si è ridotta dal 61% al 56%, mentre quella verso le principali aree emergenti è aumentata dal 21% al 27%. Attualmente la Cina assorbe il 2,7% delle nostre esportazioni, la Russia il 2,5% e i Paesi dell’Africa settentrionale il 2,9%. Negli scambi con l’estero è diminuito il peso del made in Italy (tessile, abbigliamento-moda, alimentari, mobile-arredo), ma è aumentata la penetrazione di altre specializzazioni manifatturiere, come la metallurgia, la chimica e la farmaceutica. Si è ridimensionato il numero delle imprese esportatrici (dal picco massimo di 206.800 unità nel 2006 si è passati a 205.302 nel 2011), ma aumentano gli investimenti in partecipazioni all’estero, che superano oggi le 27.000 unità (nel 2005 si era a quota 21.740). Dal 2008 a oggi le strutture commerciali che hanno chiuso sono state più di 446.000, a fronte di poco più di 319.000 nuove aperture. Nella prima metà del 2012 il saldo resta negativo (-24.390 imprese). Ma altri segmenti produttivi registrano segnali di crescita: prosegue l’espansione delle strutture della distribuzione organizzata (dalle 17.804 del 2009 alle 18.978 del 2011) e degli operatori del commercio via web, tv e a distanza (passati da 29.163 a 32.718).
La logica biomediatica spinge l’industria digitale
Siamo entrati nell’era biomediatica, in cui la miniaturizzazione dei dispositivi hardware e la proliferazione delle connessioni mobili ampliano le funzioni, potenziano le facoltà, facilitano l’espressione e le relazioni delle persone. L’utenza del web in Italia è aumentata di 9 punti percentuali nell’ultimo anno, portando il tasso di penetrazione al 62,1% della popolazione nel 2012 (era il 27,8% solo dieci anni fa, nel 2002). Gli smartphone di ultima generazione sempre connessi in rete arrivano al 27,7% di utenza (e la percentuale sale al 54,8% tra i giovani), con un incremento del 10% in un anno. Quasi la metà della popolazione (il 47,4%, percentuale che sale al 62,9% tra i diplomati e i laureati) utilizza almeno un social network. E le applicazioni del web permeano ormai ogni aspetto della nostra vita quotidiana: si usano per trovare una strada (lo fa con il pc o lo smartphone il 37,6% delle persone con accesso alla rete, una quota che sale al 55,2% tra i più istruiti), l’home banking (rispettivamente, il 25,6% e il 41,2%), fare acquisti (rispettivamente, il 19,3% e il 28,1%), prenotare viaggi (15,9% e 26,2%), cercare lavoro (11,8% e 18,4%), sbrigare pratiche con uffici (9,6% e 14,1%), prenotare una visita medica (6,6% e 8,5%). La spesa per il traffico dati con telefoni cellulari continua a crescere, fino a poco meno di 5 miliardi di euro nel 2011 (+8,9% rispetto all’anno precedente), superando così la soglia del 50% rispetto agli introiti da servizi di fonia vocale (l’incidenza era del 25% solo nel 2005). Nel primo trimestre del 2012 i terminali smartphone e tablet in circolazione erano 39,4 milioni, a metà anno le schede sim utilizzate per il traffico dati hanno sfiorato la cifra record di 21 milioni, con un volume di traffico dati sulla banda larga mobile che ha compiuto un balzo del 36,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’immobiliare in crisi riparte dalla domanda abitativa
A fine anno le transazioni immobiliari si attesteranno sulle 485.000 unità, tornando così ai valori precedenti a quelli del ciclo espansivo, che arrivò nel 2006 a registrare il picco di 870.000 compravendite. Nel periodo 2008-2011 il numero di mutui per l’acquisto di abitazioni è diminuito di oltre il 20% rispetto al quadriennio 2004-2007. Nel primo semestre del 2012 la domanda di mutui ha fatto registrare un’ulteriore contrazione del 44% rispetto allo stesso periodo del 2011. Sono però 907.000 le famiglie intenzionate a comprare casa nel 2012: erano 1,4 milioni nel 2001, sono poi scese a circa 1 milione nel 2007 e il consuntivo per il 2011 è stato di 925.000. Nel 2011 le famiglie che sono riuscite a realizzare l’acquisto sono state il 65,2%, ma quest’anno scenderanno al 53,5% (il 45,7% nei comuni capoluogo). Gli acquirenti sono in prevalenza già proprietari (8 su 10), per due terzi sono famiglie con due percettori di reddito, per il 61% appartenenti al ceto medio, per il 26% collocati nella fascia di reddito alta, per il 13% con reddito medio.