Non lasciatevi ingannare dalle marcate inflessioni dialettali che la fanno assomigliare a un brano di sceneggiata napoletana. Perché su questa telefonata c’è poco da scherzare: rappresenta il pilastro di una sentenza di condanna a dodici anni di reclusione per associazione camorristica. I giudici del Tribunale di Nola l’hanno inflitta a Nicola Sarno, figlio di Giuseppe ‘Peppe caramella’ Sarno, boss fondatore dell’omonimo clan. Nicola Sarno è l’uomo che riceve la chiamata da ‘zio Guido’ (le indagini non riusciranno ad appurarne l’identità) e lo autorizza a “spendere il nome” del clan a Piacenza (Emilia-Romagna), dove ‘zio Guido’ è in trasferta per un lavoro non meglio precisato ed è entrato in conflitto con un tizio che non vuole saldare un debito e che, si scoprirà nel corso della conversazione, lavora come inserviente in un hotel. “Come mi devo comportare?” chiede zio Guido. “Devi dire: senti, vieni a Ponticelli (quartiere di Napoli est controllato dai Sarno, ndr) e ti faccio parlare con la famiglia mia, se quello si comporta male”. Zio Guido vuole essere sicuro: “Posso fare il nome di San Giovanni, capiscimi, il compagno nostro, quello di San Giovanni”? Nicola Sarno lo tranquillizza: “Non ci sta nessun problema” di Vincenzo Iurillo e Andrea Postiglione
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