Nella prima udienza dibattimentale il tribunale di Velletri ha deciso di restituire i fascicoli alla procura, dopo aver constatato alcuni errori di notifica al momento della chiusura dell’inchiesta. Ora l’intero iter processuale dovrà iniziare da capo, con un rischio di superare i termini per la prescrizione dei reati prima di una sentenza definitiva
Riparte da zero il processo contro i presunti responsabili della contaminazione della Valle del Sacco, la zona nel sud del Lazio resa terra desolata da un’enorme quantità di derivati del Ddt sversati per anni. Nella prima udienza dibattimentale il tribunale di Velletri ha deciso di restituire i fascicoli alla procura, dopo aver constatato alcuni errori di notifica al momento della chiusura dell’inchiesta. Ora l’intero iter processuale dovrà iniziare da capo, con un rischio di superare i termini per la prescrizione dei reati prima di una sentenza definitiva.
La Valle del fiume Sacco – zona che si estende dalla città di Colleferro, fino alla provincia di Frosinone – è uno dei 57 siti d’interesse nazionale che ancora attendono una bonifica. La contaminazione è partita negli anni 70’ e ’80 dagli stabilimenti chimici della Caffaro, specializzati nella produzione del Lindano, il principio attivo utilizzato per i diserbanti. I resti della lavorazione per decenni erano stati accatastati in alcuni depositi, a pochi metri dal fiume. Fin dal 1992 era noto il pericolo per l’intera zona, tanto da far scattare una prima inchiesta dei magistrati, terminata con un’unica condanna a quattro mesi per uno degli imprenditori coinvolti. Dopo la sentenza il tribunale di Velletri ordinò la bonifica dei siti, operazione poi iniziata dalla struttura commissariale solo dopo il 2005, nonostante la commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti avesse lanciato l’allarme contaminazione già nel 1998. A guidare l’azienda che subì il primo processo c’era – fino al 1990 – Enrico Bondi, chiamato ai vertici delle aziende del gruppo Snia qualche anno prima, società che ereditò all’epoca le attività della Caffaro. Bondi venne assolto nel primo processo terminato nel 1992.
Il caso Valle del Sacco è esploso alla fine del 2004, quando gli uffici di igiene trovarono le molecole del Lindano nel latte prodotto nella zona. Scattò l’allarme, quando ormai la sostanza aveva invaso l’intera area. Per gli agricoltori della Ciociaria e della zona di Colleferro fu l’inizio di un incubo, che dura ancora oggi: migliaia furono gli animali abbattuti e il divieto di pascolo – mai sospeso dal 2005 – ha portato alla chiusura di fatto di buona parte dell’attività zootecnica. La presenza nel sangue del principio attivo del Lindano (il B-HCH) fu confermata da una campagna di ricerca sulla popolazione, con conseguenze pesanti sulla salute.
Nel 2005 venne dichiarato lo stato di emergenza e nominato commissario straordinario Pier Luigi Di Palma, avvocato dello Stato e consulente giuridico dell’Agenzia Spaziale Italiana. Nonostante i poteri straordinari, la bonifica procede lentamente, mentre le sponde del fiume Sacco continuano ad essere inutilizzabili per le attività agricole.
L’ultima inchiesta della procura di Velletri – azzerata dal rinvio degli atti – aveva come imputati Giuseppe Zulli, ex direttore della Centrale del Latte di Roma, Carlo Gentili, ex direttore dello stabilimento industriale della Caffaro, Giovanni Paravani e Renzo Crosariol, legale rappresentante e direttore tecnico del consorzio Csc, azienda che gestiva lo scarico delle acque della zona industriale di Colleferro, all’origine della contaminazione della valle del Sacco. La Centrale del Latte di Roma – secondo la Procura – sapeva da tempo della presenza del Lindano nelle mucche degli allevamenti che rifornivano l’azienda. Nonostante questo sarebbe rimasta in silenzio, non avvisando le autorità sanitarie.