Diritti

Matrimoni gay, la Suprema Corte Usa deciderà il prossimo giugno

La sentenza tanto attesa, e più volte auspicata, è arrivata. I giudici si pronunceranno su due casi: il bando alle nozze tra persone dello stesso sesso in California - la Proposition 8 - e la definizione legale di matrimonio contenuta nel “Defense of Marriage Act”. Il verdetto affidato a nove magistrati

La decisione tanto attesa, e più volte auspicata, è arrivata. La Corte Suprema degli Stati Uniti si pronuncerà il prossimo anno su due casi relativi ai matrimony gay: il bando alle nozze tra persone dello stesso sesso in California e la definizione legale di matrimonio contenuta nel “Defense of Marriage Act”. La decisione dei nove giudici, che per la prima volta nella storia della Corte si dichiareranno sulla questione è attesa per il prossimo giugno.

Il bando ai matrimoni gay è passato in California nel 2008, dopo che l’Alta Corte dello Stato li aveva legalizzati e dopo che migliaia di omosessuali si erano uniti per mesi in nozze perfettamente legali. Il referendum anti-gay, la Proposition 8, sostenuto dai gruppi religiosi e conservatori dello Stato e approvato con il 52% dei voti, venne votato il giorno dell’elezione di Barack Obama alla presidenza, approfittando della massiccia partecipazione al voto di neri e ispanici, due gruppi tradizionalmente conservatori sulle questioni dei valori e della morale. Due corti federali, nel 2009 e nel 2010, hanno annullato la Proposition 8, giudicandola discriminatoria. La Corte Suprema dovrà quindi ora dare il giudizio finale, che potrebbe essere di tre tipi. La Corte potrebbe decidere di lasciare in vigore il bando ai matrimony gay in California, a meno di un nuovo pronunciamento degli elettori. Potrebbe scegliere di riconoscere i matrimony gay soltanto in California. O potrebbe percorrere la strada più impervia e pronunciarsi pro o contro le nozze gay sull’intero territorio Usa.

Il secondo caso che finirà sotto la lente d’ingrandimento dei giudici ruota attorno al “Defense of Marriage Act”, la legge passata durante la presidenza di Bill Clinton che definisce il matrimonio come unione esclusiva tra un uomo e una donna e impedisce al governo federale di introdurre i matrimony gay. La causa è stata portata in tribunale da Edith Windsor, una newyorkese sposata in Canada con un’altra donna, Thea Clara Spyer. La Spyer è morta nel 2009, lasciando i suoi beni in eredità alla Windsor, cui però il governo federale, non riconoscendo il matrimonio tra le due donne, chiede 363 mila dollari in tasse di successione. La Windsor sostiene che il governo la discrimina rispetto alle coppie eterosessuali. L’amministrazione Obama, nei mesi scorsi, ha comunque deciso di non servirsi più in tribunale del “Defense of Marriage Act”.

La decisione della Corte Suprema arriva in un momento particolare della battaglia per i matrimoni gay. Gli ultimi anni hanno registrato un considerevole mutamento negli orientamenti dell’opinione pubblica. La maggioranza degli americani, dicono i sondaggi, è ora favorevole alle nozze tra persone dello stesso sesso. Due referendum recenti, in Maryland e nello Stato di Washington, hanno visto la vittoria dei gruppi gay. E sono nove gli Stati Usa, oltre a Washington DC, che oggi riconoscono il “same-sex marriage”. La diversità di legislazione tra Stato e Stato rende però a questo punto necessaria una norma che valga su tutto il territorio nazionale e che elimini differenze di trattamento tra i cittadini.

Entrambi gli schieramenti sono piuttosto fiduciosi sulle rispettive prospettive di vittoria. I difensori del matrimonio tradizionale sperano che i cinque giudici più conservatori della Corte si dichiarino contro le nozze omosessuali, allontanando, almeno per qualche decennio, lo spettro più temuto da conservatori e religiosi. Stessa fiducia anche nel campo opposto. Per i gruppi gay e lesbici il matrimonio omosessuale è l’ultima grande causa di libertà su cui la Corte, dai tempi delle battaglie per i diritti civili dei neri, è chiamata a pronunciarsi. I gay e le lesbiche guardano con particolare fiducia al giudice Anthony Kennedy, che di solito vota con i conservatori ma che già nel passato si è dimostrato particolarmente simpatetico con la causa omosessuale. Fu proprio Kennedy nel 2003 a scrivere la sentenza nel caso Lawrence v. Texas, che affermava che il governo non può mettere fuori legge la sodomia tra due adulti consenzienti. “La libertà protetta dalla Costituzione dà agli omosessuali il diritto di scegliere la propria relazione nei confini della propria casa”, scrisse Kennedy. Una sentenza, e un appello alla libertà, che i gruppi omosessuali sperano possa valere anche oggi, nella questione dei matrimoni gay.