Berlusconi si è ricandidato e ha già chiesto ai direttori delle sue testate “massimo impegno” per la campagna elettorale. Secondo indiscrezioni, a sostegno dell’ennesima corsa elettorale del Cavaliere è in preparazione un piano mediatico che coinvolge anche le parti della Rai lottizzate dal Pdl.
Niente di nuovo, intendiamoci. Un mio recente studio empirico basato su dati Euricse (“Who trusts Berlusconi? An econometric analysis of the role of television in the political arena”, scaricabile qui) mostra che coloro che si fidano della Tv hanno il 16,4 % di probabilità in più di fidarsi di Berlusconi. La percentuale sale notevolmente se consideriamo soltanto le persone che hanno un livello di istruzione più basso e vivono fuori dalle zone urbane.
Nell’ambito di una competizione elettorale, quando la pressione mediatica dell’impero berlusconiano sugli elettori raggiunge il suo apice, tali percentuali possono facilmente trasformarsi nello spostamento di milioni di voti. Gli elettori indecisi e meno informati cominciano a prestare attenzione alle campagne elettorali poco prima delle elezioni, e decidono se e per chi votare sulla base di valutazioni spesso emotive ed estemporanee. Secondo i sondaggi tale quota dell’elettorato è oggi molto consistente, e l’esperienza insegna che basta un 2 per cento in più o in meno per determinare l’esito di un’elezione. Berlusconi lo sa benissimo e per questo scatenerà nell’etere un vero e proprio assedio agli indecisi, schierando tutti i mezzi a disposizione del suo impero.
Il mio studio – svolto nella primavera del 2011, quando Berlusconi occupava saldamente la presidenza del consiglio, e pubblicato all’inizio del 2012 – si concludeva con l’esortazione per il centrosinistra a occuparsi del conflitto di interessi, anziché cercare intese improbabili e autolesioniste con un avversario politico prepotente e inaffidabile.
Sono passati dieci anni da quando Luciano Violante rendeva pubblica, in un celebre discorso alla Camera dei Deputati, la sostanza degli accordi tra centrosinistra e il Pdl: “L’onorevole Berlusconi sa per certo, perché gli è stata data la garanzia piena, che non sarebbero state toccate le televisioni (…) Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni (televisive, n.d.r.), avessimo aumentato, durante il centrosinistra, il fatturato di Mediaset di 25 volte”. Oggi nulla sembra cambiato. Berlusconi è di nuovo candidato premier, la classe dirigente del centrosinistra è sostanzialmente la stessa e ha definitivamente cancellato il conflitto di interessi da ogni suo discorso programmatico (con l’unica eccezione di Matteo Renzi durante la parentesi delle primarie). L’impero mediatico del leader del Pdl è intatto, anche se a causa della crisi patisce qualche difficoltà.
Siamo condannati a un ritorno al passato dunque? Forse no. L’obiettivo del cavaliere stavolta non è vincere le elezioni ma portare in Parlamento un manipolo di fedelissimi pronti a tutto per perpetuare il suo conflitto di interessi e tutelarlo dai guai giudiziari. Impresa possibile, anche grazie al Porcellum, ma non priva di difficoltà: gli scandali di cui Berlusconi si è reso protagonista hanno raggiunto livelli di squallore indigeribili anche per gli stomaci più forti, e la crisi morde la carne viva dei cittadini, che potrebbero essere meno inclini a farsi abbindolare da promesse prive di senso.
Inoltre, l’Italia sta (faticosamente) cominciando a emanciparsi dalla televisione. Con una semplice analisi descrittiva dei dati più recenti e affidabili oggi disponibili, quelli dell’Indagine Multiscopo condotta dall’Istat nel 2011, si scopre che la quota di persone che si informano di politica attraverso la Tv è in costante calo – l’anno scorso si trattava del 60,9% – diversamente dalla quota di coloro che usano anche i giornali, sostanzialmente stabile (al 30,7%). Ma soprattutto, il 22,1% degli italiani si informa oggi di politica mediante Internet. In particolare, il web viene utilizzato dal 36,3% delle persone che hanno rinunciato alla Tv come mezzo di informazione politica (ancora molto distante dai giornali, utilizzati dal 94,6% dei non-telespettatori).
Tv e Internet tuttavia non sono alternativi: il 21,2% di coloro che usano la Tv per informarsi si rivolge anche a Internet, mentre il 90,5% di chi si informa attraverso la rete segue anche telegiornali e programmi di informazione politica. La rete promuove una visione più critica e consapevole della televisione, come suggerisce il successo degli esperimenti di “Social Tv” di Servizio Pubblico e Ballarò. Tra coloro che si informano di politica attraverso Internet, l’80,9% usa giornali, riviste e siti di news. Circa il 30% si informa attraverso social network come Facebook, dove il confronto di idee può essere molto fertile e articolato.
C’è ancora speranza dunque. Ma per il centrosinistra sarà fondamentale evitare di scendere sul terreno ideale di Berlusconi, quello della distrazione di massa a base di scandali e sessismo, gaffe politiche e proclami calcistici, insulti volgari e scontri muscolari. E tornare invece a parlare di programmi e soluzioni per affrontare disoccupazione e povertà, migliorare il welfare, investire in salute e istruzione, combattere mafia e corruzione, rilanciare la ricerca, riformare le istituzioni europee e proporre una via sostenibile per rimanere nell’Unione monetaria. Solo in questo modo si può consolidare il distacco del candidato premier del Pdl da un paese reale stremato da anni di crisi e sempre più incline al disgusto verso il berlusconismo.