Lo scacco dell’Immacolata è arrivato quando nessuno l’aspettava. In risposta all’arrocco di re Berlusconi, che aveva ordinato alla torre Alfano di preparagli il campo con la sfiducia a Montecitorio. Scacco al re. Quasi per disperazione. Ma nel gioco degli scacchi la mancanza di tranquillità è la peggior nemica. E il Professore, con furbizia tecnica e sobria stizza, ha fatto saltare il banco: scacco matto. Silvio? Tra l’incudine dell’esercizio provvisorio e il martello di una campagna elettorale ridotta all’osso. Come dire: con qualsiasi scelta rischia il baratro elettorale. E Monti gongola, tra un caffè in piazza Wagner e un abbocco col Vaticano.
Attenzione: quella del Prof. è una mossa di alta strategia politica da parte di chi in politica si trova assai a suo agio. Il Cavaliere non se l’aspettava. I suoi adepti hanno subito mascherato il colpo basso parlando del primo punto a favore del Caimano ritrovato. Mentivano. E continuano a mentire sperando che lunedì i mercati non ci mettano il carico. Il giorno successivo al coup de theatre, però, più che la reazione quasi scontata del Pdl, fa notizia il gioco di sponda di chi ha gradito, e non poco, lo scacco dell’Immacolata.
Perché in questi giorni di strategia, Bersani di Monti è stato l’alfiere. Casini la torre. Napolitano l’arbitro sull’altare della ragion di Stato. E così non si fa peccato a pensare che il tiro mancino del premier sia stato quasi concordato prima, durante e dopo le consultazioni informali di venerdì al Colle. Minimo comun denominatore? Mettere all’angolo il vecchio volpone. Giochino riuscito. Ora, però, inizia un’altra partita che finirà a metà febbraio, con le elezioni politiche. Ognuno gioca su un proprio tavolo. Casini, si sa, da mesi spera di riuscire a portare Monti con sé. In un modo o nell’altro. E magari anche di convincere Luca Cordero di Montezemolo a lasciar perdere la flemma e metterci la faccia. Chissà.
L’obiettivo del Pd, invece, è ancor più semplice: evitare di perdere elezioni che non può non vincere. E in tal senso la mossa di B. offre un assist assai ghiotto ai democratici per ampliare un consenso già blindato dalle primarie. E sì, perché con il Pdl che ha aperto la crisi di governo, l’approvazione della legge elettorale – al pari del decreto Liste pulite sull’incandidabilità dei condannati – è andata definitivamente a farsi benedire.
E agli italiani proprio non va giù di tornare a votare col Porcellum, quindi senza poter esprimere la propria preferenza su un nome. Ecco il punto: il Pd non può perdere l’occasione di organizzare le primarie per la scelta dei candidati alle politiche. E’ vero, il tempo a disposizione è poco. Ma sulla scia del successo di due settimane fa tutto è possibile.
I benefici sarebbero doppi: si restituirebbe un po’ di sovranità agli elettori e si metterebbe nelle loro mani una reale possibilità di cambiamento. Certo, poi bisognerà vedere tra chi si potrà scegliere, ma in tal senso è fondamentale che Bersani investa Renzi (e la sua squadra) di un ruolo politico ed elettorale ben preciso. Dopo la sconfitta alle primarie, infatti, il sindaco di Firenze è sparito dalla scena. Forse sta aspettando l’invito ufficiale del segretario. O forse no. Fatto sta che il rottamatore è portatore sano di entusiasmo e aria nuova (giovanilismo spinto a parte), ovvero ciò che manca al Pd per chiudere il cerchio.
Se così fosse, dopo lo scacco dell’Immacolata griffato da Monti, l’ex alfiere Bersani potrebbe calare sul nuovo tavolo (verde) il poker di Natale. A meno che non stia bluffando (per la gioia di Grillo&Co).