Politica

L’editto di Milanello

Diceva Karl Marx che le tragedie della storia si ripetono sempre, ma in forma di farsa. Ma in che forma si ripetono le farse, in un paese dove nulla è mai serio? Vent’anni fa il cinquantaseienne Silvio B. inaugurava un supermercato Standa a Casalecchio di Reno e lanciava il suo primo proclama politico per salvare la Fininvest dal tracollo finanziario e se stesso dalla galera: “Come sindaco di Roma, tra Fini e Rutelli, voterei Fini”. Era l’annuncio dell’alleanza a geometrie variabili, con An nel Centro-Sud e con la Lega al Nord, che di lì a quattro mesi avrebbe regalato la vittoria al suo partito chiamato come un coro da stadio: Forza Italia. Ora il settantaseienne Silvio B. ha gli stessi due problemi di allora: Mediaset rischia il tracollo finanziario e lui la galera. Così ha scelto un altro luogo simbolico per una certa Italia, per annunciare la ridiscesa in campo: il prato di Milanello.

L’arma segreta non è un mirabolante programma di riforme, tanto non ci crederebbe nessuno e comunque interesserebbe a pochi intimi: ma l’acquisto di Balotelli, che si aggiunge al colpaccio Briatore. Il resto sarà una campagna elettorale tutta in tv, con qualche ritocco sui bersagli: al posto dei comunisti, la Merkel e l’euro; al posto delle toghe rosse (quelle le combattono già Napolitano e Violante), Monti e le sue tasse. Il fatto che l’euro sia entrato in vigore nel 2002, sotto il governo Berlusconi-2, se lo sono scordato tutti. Il fatto che il Pdl stia nel Ppe con la Cdu della Merkel, è un dettaglio per amatori. Il fatto che il Pdl abbia votato tutti i decreti di Monti, chi se ne ricorda? Ciò che conta è smarcarsi dal governo tecnico, facendo finta che sia caduto per merito di B. e lasciando Bersani e Casini col cerino in mano. La gente, la sua gente, abboccherà: anche i berlusconiani più critici e delusi, quelli non ancora fuggiti verso Grillo o l’astensione, di fronte all’alternativa “volete ancora più tasse con Bersani e Vendola o il nemico pubblico numero uno delle tasse tant’è che s’è beccato 4 anni in primo grado per evasione fiscale?”, torneranno all’ovile rassegnati: aridatece er puzzone.

E saranno senz’altro più numerosi di quelli che avrebbero preferito Alfano (diciamo la verità: non esiste in natura un solo fan di Alfano, nemmeno tra i parenti stretti, se si escludono decine di giornalisti servi che per mesi hanno eretto monumenti equestri ad Angelino Jolie, scolpito nel marmo come Giovanni dalle Bande Nere). Sono gente di bocca buona e stomaco forte, oltreché di memoria corta: gente che, con questi chiari di luna, bada al sodo e al soldo e se ne infischia del conflitto d’interessi, delle leggi vergogna e del Porcellum. Anche perché l’Allegro Squadrone di Bersani & C. ha ripetuto fino alla noia che bisogna risolvere il conflitto d’interessi, abolire le leggi vergogna e cancellare il Porcellum, e non ci ha mai neppure provato. L’unica differenza rispetto a vent’anni fa è che il Cavaliere Dimezzato sa benissimo che non tornerà mai più a Palazzo Chigi, né andrà al Quirinale (che rabbia: proprio adesso che il Presidente, grazie alla Consulta, è più intoccabile del Re Sole). Ma, se tutto va male, cioè bene per lui, le elezioni non le vincerà nessuno. Non perché il Pd non abbia tutti i numeri per essere il primo partito: forse il distacco di 15 punti nei sondaggi è talmente incolmabile che anche dei perditori professionisti come quelli della sinistra italiana faticheranno a mangiarselo in tre mesi. Ma perché, proprio grazie al Porcellum, Bersani e Vendola potrebbero non avere la maggioranza in Senato nemmeno se prendessero il 40% dei voti. A quel punto, per fare un governo, dovrebbero chiedere aiuto a Grillo o a B. E Grillo ha già detto che non appoggerà nessuno: dunque non resterebbe che B. Che ancora una volta sarebbe decisivo. In cambio di cosa, ci pare quasi di intuirlo.

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2012