Il cancro al colon retto si può diagnosticare in un soffio. E quanto hanno scoperto gli scienziati che studiano le emissioni dell’llva. Il meccanismo è apparentemente molto semplice. Dopo aver soffiato in un palloncino, se ne analizza l’aria. Il respiro, infatti, contiene molte informazioni su quello che accade all’interno dell’organismo grazie allo scambio tra sangue e aria. Il cancro lascia tracce nel sangue e queste tracce passano nell’aria respirata attraverso gli alveoli. Rilevando l’aria si scopre la presenza del tumore. La ricerca mira a rendere le classiche metodologie diagnostiche meno invasive. Oggi, infatti, ci si avvale di colonscopia ed esami del sangue occulto nelle feci.

Metodi che non sono certo una passeggiata per il paziente. Il raffronto fatto tra la tecnica tradizionale e quella in via di sperimentazione, ha dato – per il team di ricercatori – risultati soddisfacenti. Su 100 malati il “palloncino” ne individua 80, mentre su 100 pazienti positivi al test del sangue occulto che eseguono una colonscopia, solo 50-60 hanno una patologia intestinale e solo 7 di essi un tumore. La scoperta se confermata riguarderebbe un’ampia fetta di popolazione. I dati consegnano, infatti, un quadro allarmante. Il cancro al colon è la seconda causa di morte tra i maschi e la terza tra le donne. Nel 2012, secondo l’Istat, sono attesi 51.600 nuovi casi.

“E’ un primo passo” afferma cauto il gruppo di scienziati del Dipartimento di Chimica dell’Università “Aldo Moro” di Bari condotto dal professor Gianluigi De Gennaro e del Dipartimento di Emergenza e Trapianti d’organo del professor Donato Altomare, che ha lavorato sodo per due anni. Ma del resto alla meta si arriva passo dopo passo. “Mentre tutti gli altri ricercatori – spiega De Gennaro – lavorano sui marker tumorali cioè su singole molecole, noi ne abbiamo utilizzati diverse, per la semplice ragione che per questa malattia non è al momento possibile individuare un unico marker, quindi solo un approccio differente poteva risolvere il problema della diagnosi. Ma quale approccio? Lo stesso che abbiamo utilizzato per identificare le emissioni dell’Ilva, o quelle del traffico. La scoperta deriva in pratica dalle conoscenze sull’ambiente e sulla qualità dell’aria che abbiamo maturato in questi anni. Abbiamo individuato un gruppo di molecole che presentano profili specifici per i sani e per i malati”.

I due team che hanno tessuto la tela di un lungo e meticoloso lavoro sono composti interamente da donne. La più giovane ha 25 anni, la più grande 37. Un particolare che non passa inosservato in un momento in cui fare il ricercatore, specialmente per una donna, significa votarsi alla precarietà e con poche prospettive future. Eppure il talento italiano, al di là di come si voglia interpretare la ricerca in questione, non si ferma davanti a nulla e dimostra di voler continuare a lavorare sapendo bene che il mondo della ricerca è da tempo immemore “affamato” di finanziamenti che scarseggiano sempre più.

A toccare il nervo scoperto è lo stesso De Gennaro. “Questa ricerca – dice – non sarebbe stata possibile senza l’incentivo della Regione Puglia che ha stanziato un milione e mezzo di euro in favore del nostro progetto. Grazie agli stessi fondi abbiamo potuto far realizzare uno strumento ad hoc che ci permetterà di perfezionare la tecnica, catturando, del respiro, solo la parte che ci interessa, cioè quella alveolare, che è l’aria più interna. Nell’immediato futuro non sarà più necessario neanche sforzarsi per gonfiare un palloncino, ma respirare normalmente in un boccaglio, al resto penserà il nuovo strumento”. La speranza di Altomare, è che migliorando la tecnica, laddove i risultati fossero confermati, si possa invogliare anche alla prevenzione. Se per diagnosticare il cancro basta soffiare in un palloncino senza il minimo sforzo, allora più persone si convinceranno dell’importanza di fare controlli periodici. “Una diagnosi precoce – ha spiegato il docente – può rendere veramente curativa la sua asportazione chirurgica”.

La notizia ha fatto il giro del mondo in pochi giorni. A riportarla per prima la rivista scientifica internazionale British Journal of Surgery. I ricercatori sono già tornati nei loro laboratori perché ora, dopo questo primo passo, intendono centrare l’obiettivo più importante: confermare la loro “scoperta” e vederla concretizzarsi per alleviare, almeno in questo, i disagi che deve affrontare chi ha davanti a sé lo spettro di un tumore.

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