Le dimissioni (annunciate) di Mario Monti hanno avranno un riflesso tragico sui titoli di stato italiani? Questa era la domanda che già domenica viaggiava sulle linee telefoniche fra Milano e Londra. La risposta non si è fatta attendere: gli operatori preferiscono Monti ma non fanno un dramma della sua dipartita.
L’intervista tempestivamente rilasciata da Bersani al Wall Street Journal ha rassicurato i grandi investitori sul fatto che il probabile futuro governo “rispetterà tutti gli impegni economici presi dall’Italia”. A conti fatti banche ed assicurazioni perché dovrebbero rinunciare ad una grassa cedola sui BTP che sicuramente sarà pagata anche il prossimo anno?
Le parole di Mario Draghi di giovedì avevano rassicurato tutti sul permanere della volontà interventista della BCE che offre così una garanzia addizionale per chi comprasse il debito italiano e spagnolo. Il tempo è denaro e per le banche, che non prestano più ad imprese e famiglie, i titoli di Stato italiani rimangono l’unica fonte di reddito certo ed a rischio limitato. La BCE ha fatto diventare la liquidità un costo e gli istituti bancari, già disastrati per le perdite su crediti, non possono mantenerla per lungo tempo. Una trappola economica si sta stringendo intorno al collo dell’economia, l’abbondante liquidità finisce per finanziare il debito pubblico, lo Stato per pagare gli interessi ha bisogno di sempre maggiori entrate, aumenta le tasse e diminuisce i trasferimenti, i cittadini hanno meno reddito disponibile e consumano meno, le imprese non investono, la disoccupazione aumenta.
Un circolo vizioso che il governo Monti non ha interrotto ma anzi ha alimentato con la complicità della BCE, che ha fornito liquidità a bassissimo costo alle banche invitandole a comprare titoli del debito pubblico. Gli spread si sono così ridotti ma l’economia si è inabissata così come il reddito di imprese e famiglie. Il meccanismo che ha permesso al’ex rettore della Bocconi di vantare risultati importanti dal punto di vista finanziario, per assurdo, è lo stesso che ci consentirà di salutarlo senza rimpianti.
Anche senza di lui il sistema starà in piedi e per alcuni mesi consentirà lauti guadagni alle banche ed alle compagnie assicurative. Ma lo stesso meccanismo porrà il nuovo governo di fronte al dilemma fra la necessità di effettuare una nuova manovra da almeno 25 miliardi di euro e la scelta di interromperlo rinegoziando gli accordi con l’Europa e chiedendo un intervento incondizionato da parte della BCE.
Le parole di Bersani stampate sul più importante quotidiano economico del mondo lasciano pochi dubbi su quale sarà la scelta, nonostante il pensiero di Stefano Fassina (“l’agenda Monti è da rottamare”), il PD si accinge a proporsi come il garante degli interessi bancari costituiti che si legano alla volontà tedesca di non pagare minimamente il conto finanziario della crisi. La proposta di una tassa patrimoniale che sta prendendo forza e vigore nelle parole dei leader Democratici è coerente con la volontà di aumentare la pressione fiscale per continuare a pagare il debito senza scossoni politici di nessun tipo.
Il problema si porrà quando il tessuto economico e sociale italiano rifiuteranno ulteriori tagli ed ulteriori tasse ed il processo riformatore sarà incagliato per mancanza di fondi. A quel punto la nuova scelta sarà se chiedere un aiuto finanziario da pagare, ancora una volta, a caro prezzo, o intraprendere nuove e coraggiose strade. I mercati stanno a guardare consapevoli che non possono governare i processi democratici ma possono fortemente influenzarli.