C'è Mirella che si è inventata un mestiere perché la gravidanza era un ostacolo alla carriera. O Antonella che ce la fa grazie a un marito e un'azienda (tedesca) iper-collaborativi. O, ancora Edith che, grazie a un'idea, è imprenditrice di se stessa. La Camera di Commercio di Torino racconta le loro realtà: 'equilibriste' tra l'aspirazione di lavorare e di avere una famiglia
Talmente brava nel suo lavoro che i superiori le avevano promesso una promozione. Mirella Maglio, torinese, esperta di marketing, avrebbe dovuto diventare la responsabile del nuovo settore che la banca che l’aveva assunta stava per aprire. Una soddisfazione immensa, una carriera in ascesa, a meno di trent’anni. Poi è saltato tutto. Perché un giorno Mirella è andata da quegli stessi superiori a comunicare loro che aspettava un bambino. “Mi hanno detto che da lì in avanti avrei dovuto solo rispondere al telefono. Mio e dei miei colleghi. Ero diventata una segretaria“. Poi, il destino le ha offerto un’altra possibilità e Mirella si è trasformata in imprenditrice. Unendo, in un colpo solo, le sue competenze di gestione d’impresa e l’amore per i bambini. Adesso gestisce un asilo nido e una scuola materna: una settantina di allievi in tutto e 15 dipendenti. “E quando una mi dice di essere incinta, per me è una festa, non perché tanti datori di lavoro reagiscano così male”.
Eppure capita spesso. Per le donne italiane conciliare famiglia e lavoro è un’impresa. Lo conferma un’indagine di Eurostat: in Italia lavora il 59% delle donne con un figlio, rispetto a una media Ue del 71,3%. Se i figli sono due, poi, la percentuale cala al 54,1 contro la media del 69,2 dell’Europa. In generale l’allarme arriva anche dal rapporto dell’agenzia dell’Onu specializzata nel promuovere la giustizia sociale (Ilo, ndr) – “Tendenze globali dell’occupazione femminile 2012″ – secondo cui la crisi ha accentuato il divario di genere sul fronte della disoccupazione con un tasso femminile nel 2012 più alto dello 0,7 per cento rispetto a quello maschile.
Le ragioni per cui le donne – e soprattutto le madri – hanno maggiore difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro sono tante, in primis la mancanza di asili nido e altre strutture per l’accoglienza dei bambini. Per questo le mamme sono costrette a fare le acrobate per far fronte alla necessità di lavorare senza sacrificare o rinunciare del tutto alla famiglia. A questo tema il Comitato per la promozione dell’imprenditoria femminile della Camera di commercio di Torino ha dedicato anche uno spettacolo teatrale. Al centro, le storie di vita vissuta di queste acrobate.
Come Mirella. E come Antonella Pella, responsabile delle risorse umane e del servizio clienti di una multinazionale tedesca con sede anche in Italia. Mamma di una bambina di sette anni, lavora dalle otto e mezza del mattino alle sette e mezza di sera. Acrobata, appunto. Anzi, “equilibrista”, come preferisce definirsi. A darle una mano a tenere insieme tutto è il marito. “Una moglie, più che un marito”, scherza Antonella. E poi c’è una politica aziendale più unica che rara che prevede tantissime iniziative per andare incontro alle mamme e ai papà dipendenti: viste e incontri con pediatri e dentisti, supporto psicologico al momento del rientro dalla maternità, il centro estivo interno e orari flessibili. “Anche io ne ho beneficiato – spiega – Ora stiamo cercando di coinvolgere anche altre imprese del territorio ad agire allo stesso modo”.
Già perché per le donne lavorare è importante. E non solo per essere indipendenti. E’ un motivo di soddisfazione personale. Di orgoglio. “Per me la vita senza vaniglia è una noia”, dice Edith Elise Jaomazava, 42 anni, titolare di un negozio di spezie a Porta Palazzo, il cuore popolare di Torino. La vaniglia è quella che arriva dalle piantagioni della sua famiglia in Madagascar e che lei, con un guizzo d’intuito, ha deciso di proporre ad alcune delle gelaterie e pasticcerie storiche della città. Risultato: è stato amore a primo assaggio. Le richieste sono in continuo aumento. Ordini, fatture, pagamenti. Un lavorone. E a casa ci sono quattro figli a cui pensare, oltre a una separazione difficile in atto. “I più grandi, oramai, sono autonomi. I piccoli fanno sport o doposcuola. Seguirli è complicato ma loro sono la mia forza. Insieme con il lavoro”.