Mezzo secolo ante latinismi Lotito. “Io sono colui che vi pagherà la cambialetta del televisore”, pittoresca creatività nel brand, residui bellici da ‘fine pena mai’. Il cielo solcato da un aeroplano, al traino la scritta ‘Vota Brivio’, manifesti di una campagna elettorale milionaria, fondo nero e testa pelata in stile mussoliniano. ‘Vi difenderò in Campidoglio’ che, detto da un politico/produttore cinematografico per cinque mesi alla guida di un blasonato club, suonò come un lampo metafisico tra il Napoli di Achille Lauro e i cinepanettoni azzurri, futura ditta De Laurentis. “SOS Lazio, Brivio è un pericolo!”, titolava L’Unità esorcizzando spauracchi horror sul film laziale. Correva l’anno 1962, anticamera di misteriosi spari a Centocelle, flirt con Stefano Delle Chiaie e trame scissioniste da Rinnovamento Sociale.
Nato nella Grande Guerra, Ernesto Tino Brivio è stato la pancia guascona dell’alta borghesia milanese esportata a Roma. Figlio del Sole post Repubblica Sociale, da volontario nelle Brigate Nere di Alessandro Pavolini tirò quattro bombe a mano sullo stabilimento Motta e, col padre Carlo ai vertici dei magazzini Rinascente e Standa, esiliò al sole de L’Avana sulle orme caraibiche di Ernest Hemingway, prima della Revolucion rossa di Fidel e di un altro Ernesto, guerrigliero ‘Che’. “Raramente ho visto un uomo che ama tanto la propria terra”, scrisse del Presidente militare Fulgencio Batista, prototipo ‘Homo’ Nietzsche tra le meraviglie di Cuba.
Rientrò in Italia tra scandali, gioielli e night club, abbandonata la prima moglie, suicida alla canna del gas. Camicia con le pinces ai fianchi, gemelli da polso, allevava cavalli da corsa, parcheggiando la Ferrari davanti un lussuoso attico sul Lungotevere, abitato con la segretaria. A Piazza del Gesù finanziò il quotidiano Telesera già del Presidente del Consiglio Tambroni e di Umberto Ortolani, braccio sinistro di Licio Gelli P2. Al cinegiornale La Settimana Incom affermò di usare le vincite dei Casinò esteri per sanare le voragini della Lazio di Professor Governato e dell’istrionico Juan Carlos Lorenzo, affogata nei debiti della ‘prima volta’ in Serie B.
Benché rotte le ossa della Nazionale azzurra nella battaglia di Santiago del Cile, Brivio distribuiva folklore nouvelle vague passeggiando per la città con un leoncino al guinzaglio. Profetizzava bullonature biancocelesti ai piedi dell’attore Maurizio Arena e del tennista Nicola Pietrangeli. Espulso con Oronzo Pugliese in uno straripante Lazio-Foggia 4-1, promise ai tifosi una risalita ‘predestinata’, millenarismo con tricolore da cucire in tempi rapidi. In realtà l’ultima raffica di Salò’ fuggiva ai dribbling di promesse e investimenti spericolati, tra flash felliniani di fotografi mimetizzati nelle serate mondane: per la prima de ‘Il giorno più lungo’ sullo sbarco degli Alleati in Normandia, era con Monica Vitti, Anna Magnani, Michelangelo Antonioni e Gina Lollobrigida. Alle elezioni amministrative di Roma, trasformazione dell’Urbe 1962 nel Piano Regolatore, con 35.335 voti e il sostegno degli extraparlamentari neri di Avanguardia Nazionale, superò persino l’ex Segretario MSI Augusto De Marsanich. Ma ‘l’uomo che mantiene ciò che promette’ al Teatro Adriano, abdicò nonostante ‘primo lista’ del terzo partito della capitale, giunta di centro-sinistra, Glauco Della Porta.
Finché il crack nel colpo di scena di un grande bluff. L’ombra degli strozzini, il ciack col coniglio fuori dal cilindro, esibito sul proscenio: “mandatemi in Parlamento, pagherò anche le vostre cambiali”. Addio Lazio e plaudenti passerelle all’Olimpico, sfiduciato da consiglieri e tifosi, tra i misteri di un agguato a mano armata (20 giorni di prognosi e frattura del mignolo con arma da fuoco) e l’accusa di bancarotta fallimentare. Il botto finale? Insolvenza spacciata su Lo Specchio di Nelson Page, nei titoli di coda: fuga all’estero, pista Interpol e richiesta d’estradizione in Libano. Tutto d’un fiato: dall’harem di Beirut nell’Hotel St. George all’epilogo nibelungico sulle rive del Lago di Como, sipario calato sul ‘Che’ di Batista (non l’anti Falcao, il Joao d’era Chinaglia).
Ernesto Tino Brivio muore l’11 Dicembre 1976, nove giorni dopo Tommaso Maestrelli, prigioniero dei tedeschi sul fronte jugoslavo e guida spirituale del primo (vero) scudetto laziale. Vinto con una squadra controcorrente, ammazza grandi due lustri più tardi e convenzionalmente a rigurgito fascista, benché plasmata da un compagno di ventura dei partigiani titini. Liberazione popolare. L’alfa omega di spericolate convergenze pallonare, da ‘lotta continua’ Montesi a ‘saluto romano’ Di Canio.