Protagonista è Robbie (Paul Grannigan, sfregiato e super), un piccolo criminale di Glasgow che con la violenza ha più di qualche trascorso. Intelligente e sveglio, ha anche una ragazza, Leonie, da cui aspetta un bambino, e forse vuole davvero cambiare vita, anche se le cattive frequentazioni non mollano tanto facilmente: condannato ai lavori socialmente utili per un brutale pestaggio, conosce Rhino, Albert e Mo, tre senza futuro e senza presente come lui. Ma buon Loach non mente, e il bicchiere è mezzo pieno: grazie al sorvegliante Harry, Robbie & Co. scoprono il significato dell’Angels’ Share, la quota degli angeli, ovvero il 2% dello scotch che evapora ogni anno da una botte.
Per quella parte che va in cielo ce n’è una che torna in terra, e si chiama speranza: Robbie ha il naso fino e forse proprio dal single malt può arrivare la salvezza. Con il kilt e un’idea truffaldina nello zaino, i quattro partono per le Highlands, cercando di barattare gradazione alcoolica in solido futuro.
Se le battute e le gag su Mona Lisa, Einstein, asini e “checkpoint Charlie situations” fanno sbellicare, Loach non scherza, fa sul serio, e utilizza la commedia non per berciare al vento, ma “perché ridere fa parte della nostra comune umanità”. Non sono vittime i suoi personaggi, ma quattro angeli in carne, ossa e – soprattutto – spirito che vogliono la loro parte: si chiama futuro, ed è anche il nostro.
Grazie di crederci, Ken, e grazie di aiutarci a credere. Toast!