Laicità e giustizia. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi sui pilastri che sorreggono il Movimento arancione e la sua nascita ufficiale, ieri al teatro Eliseo di Roma poteva facilmente chiarirsi le idee. La platea si è spellata le mani solo in un paio di occasioni: quando si è parlato di diritti civili e, soprattutto, a sostegno del lavoro dei magistrati di Palermo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia. La data scelta per presentare quello che ambisce a diventare il “quarto polo” è emblematica, non solo aritmeticamente: ieri, 12/12/12, ricorreva il 43° anniversario dalla strage di Piazza Fontana. E la kermesse si è aperta con la lettura dell’articolo “Io so” di Pier Paolo Pasolini, per ricordare che esiste chi conosce i nomi dei responsabili della strage del 12 dicembre 1969. “Nei primi 100 giorni di governo dobbiamo cancellare il segreto di Stato sulle stragi di mafia” ha gridato dal palco Luigi De Magistris, il padre di questo movimento che, come si evince dalle sue parole, punta al governo del Paese.
Ma come arrivarci? L’unica strada è un’alleanza con il Partito democratico. Quella che in questo momento cercano tutti. L’Italia dei Valori in primis, che ieri ha ribadito durante l’ufficio di presidenza le priorità da seguire: in primo piano sempre la foto di Vasto, soltanto dopo un movimento più grande di aggregazione delle varie forze alternative, ma sempre con il loro simbolo ben in vista. “Una lista unitaria che si rivolga a Bersani per costringerlo a non sbracare verso quelli che si definiscono moderati e che non sono altro che inciucisti” dice Antonio Di Pietro, rinvigorito dalle alleanze con il centrosinistra sul territorio per le elezioni regionali (Lombardia, Friuli, Molise e Lazio). L’Idv vuole provare a tornare al governo anziché restare all’opposizione. Proprio come il nuovo Movimento Arancione. Di certo sperano in molti.
La platea di ieri era ricca di personaggi che guardano con attenzione alla forza potenziale di un’aggregazione spontanea della società civile: presenti il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, quello del PdCi, Oliviero Diliberto, quello dei Verdi Angelo Bonelli e poi Vittorio Agnoletto, Giovanni Russo Spena, Giulia Rodano, Antonello Falomi, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e, naturalmente, Antonio Di Pietro. Che, per entrare in questa lista, dovrebbe fare diversi passi indietro. “Basta partiti personali dei Berlusconi, dei Di Pietro, dei Casini e dei Fini. Ci vogliono partiti fatti da persone, da storie che sono nei territori” ha chiarito subito De Magistris. Poi, dopo uno sguardo agli ascoltatori, ha rincarato: “Questo non è un luogo dove qualcuno viene a darsi una riverniciata. Non farò altro, ma questo non lo consentirò”. Sarà il padre nobile, quindi, il sindaco di Napoli, di un movimento che dà voce (anche dal palco) alle associazioni e agli amministratori. O almeno questo è quello che continua a ripetere: resterà primo cittadino per i prossimi tre anni.
Ma, a giudicare dalla reazione entusiaste dei partecipanti, un leader in pectore c’è già: “Chi vuole davvero cambiare le cose in questo Paese, deve avere il coraggio e la determinazione per fare una rivoluzione civile” ha detto Antonio Ingroia in collegamento via Skype dal Guatemala tra gli applausi, “dico la nostra rivoluzione civile perché io sarò della partita. Sarò al vostro fianco, farò la mia parte”. Poi un chiarimento sulla giornata già vissuta in Italia e ancora agli albori in America centrale: “Ho sentito che sono stato attaccato da Dell’Utri, che ha il coraggio di dire che il suo impegno in politica non ha nulla a che fare con la mafia, ma si è dimenticato che c’è anche una condanna”. La platea era tutta in piedi, l’appuntamento arrivato alla conclusione, i leader dei partiti di sinistra si sono allontanati piano piano.
da Il Fatto Quotidiano di giovedì 13 dicembre 2012