Dal 10 al 16 dicembre va in scena a Courmayeur il Noir film festival, una rassegna giunta alla XXII edizione, che vede molti protagonisti del genere sfilare nel piccolo corso della cittadina valdostana. Èd è proprio durante la terza giornata del festival che Ilfattoquotidiano.it ha incontrato Gabriele Salvatores, a Courmayeur per presentare alcune immagini del suo nuovo film, “Educazione Siberiana”.
Tratto dal libro di Nicolai Lilin, che ha firmato la sceneggiatura insieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia, “Educazione siberiana” (protagonisti John Malkovich, Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavche), racconta la storia di una comunità di “criminali onesti”, quella degli Urka siberiani, deportati da Stalin al confine con l’attuale Moldavia. Vite vissute all’insegna di regole molto rigide e ferrei principi morali, calati in un contesto, a volte, discutibile. Vite che incontrano il consumismo, la globalizzazione, vivendo così un difficile confronto tra “vecchio e nuovo mondo”.
“Non è un film politico”, sottolineano Salvatores e Lilin: il messaggio politico è intuibile, semmai, dalle storie dei protagonisti, dalle loro personali vicende di crescita.
Salvatores e un ritorno noir. Noir come riflesso di un contesto sociale che interroga se stesso, che si mette in discussione, rivelando le proprie ombre, le proprie contraddizioni, il proprio lato oscuro. Dovesse girare un noir sull’attuale contesto socio politico italiano, quali fatti e protagonisti sceglierebbe per rappresentare queste ombre?
Dal punto di vista politico, sarebbe una storia povera, piccola, triste. Non c’è la forza di un noir, semmai di una commediola all’Italiana, fatta di scandali alla Totò. Forse varrebbe la pena raccontare la società civile, e allora immagino una cosa alla Ken Loach.
B. ha detto che torna… Verità o finzione?
È talmente imprevedibile, come tutte le menti egotiche, che è impossibile da dire. Certo, al di là del mio pensiero politico, è uno che di bugie ne ha dette… Affermazioni fatte e smentite il giorno dopo… Quel che so è che sembra un incubo. Il nostro Paese non può e non deve permettersi di sbagliare ancora.
Parliamo di donne. Le recenti primarie del partito democratico hanno riproposto la questione di genere, con entrambi i candidati intenzionati, pare, a garantire un’importante presenza femminile negli organi istituzionali. Crede che sia necessario parlare di “quote rosa” o è più una questione di merito che di genere?
Le cose “imposte” non sono mai belle. Dovrebbe essere una cosa spontanea, senza necessità di imporre, attraverso quote rosa, una presenza minima femminile, ma si tratta di un problema culturale. Il mondo maschile ha paura di quello femminile e difende il suo potere… Affinché avvenga un cambiamento culturale in questo senso, sarebbe importante cominciare a ridefinire il rapporto uomo-donna partendo dalle relazioni personali.
Nei suoi film, il punto di vista sulle relazioni “uomo- donna” spesso resta in secondo piano rispetto a quello su rapporti “virili”, basati su relazioni di amicizia, o su confronti generazionali padre-figlio. Come mai?
Bisogna raccontare quel che si conosce… Preferisco immaginare, ad esempio, un film di Jane Campion, a indagare sul punto di vista femminile, che uno di Gabriele Salvatores.
Spesso, nei suoi film, mette in scena personaggi che soffrono di una sorta di “sindrome di Peter pan”, e sembrano non voler crescere. Oggi, per molti giovani, il problema è non tanto il non voler crescere, quanto il non poterlo fare a causa delle difficoltà nel raggiungere un’indipendenza economica. Cosa consiglia a questi ragazzi? Andare via o restare in Italia?
Bisogna rimanere qui. Quando ho vinto l’Oscar per “Mediterraneo” mi chiesero di andare in America, ma restai, in quel caso anche per amore. Credo che sia necessario restare, cercare di cambiare le cose, da qui.
A proposito di Oscar, la statuetta dorata è considerata da tutti come una “cima” da raggiungere: una cima che rappresenta un traguardo o uno sbarramento per lei?
Proprio perché ho sempre considerato la cima come sbarramento ho cercato di non pensare all’Oscar come ad una vetta, anche perché so che si tratta di un premio legato, comunque, alle logiche dell’industria cinematografica. Per esempio, quell’anno era in gara “Lanterne Rosse”, un bellissimo film…
Magari avrebbe dato l’Oscar a Zhang Yimou?
Sì.
Lei è un chitarrista e un grande appassionato di musica. Rinuncerebbe alla tua attuale carriera, per una vita da rockstar?
Ci ho pensato molte volte, e forse si. La musica ha un che di più libero, sei più autonomo. D’altra parte, questo è il lavoro che faccio, che so fare, e di cui sono felice.
Quindicesimo film di Salvatores, “Educazione Siberiana”, interamente girato in Lituania, in lingua inglese e con un cast quasi esclusivamente locale, è stato per il regista un’esperienza importante, tanto che in conferenza stampa dichiara: “Ho imparato più cose in questo film che negli altri quattordici”. E quando a Lilin chiedono come mai abbia scelto Salvatores per il riadattamento cinematografico del suo libro, risponde “cercavo di capire cos’è la guerra, perché facendo la guerra non si capisce cos’è, si capisce dopo”. È in quel momento che qualcuno gli ha fatto vedere “Mediterraneo”, ed è in quel momento che ha capito chi avrebbe dovuto far vivere la sua storia, sul grande schermo.