Agli albori erano un gruppo spiazzante e difficile da classificare i Piano Magic, la band aggregatasi una quindicina d’anni or sono a Londra intorno alla figura di Glen Johnson, in primo luogo perché sono nati come progetto aperto al contributo ed alla collaborazione di artisti dalle più disparate sensibilità: in questo senso non ci stupisce constatare che nelle loro prime produzioni confluiscano filoni e tendenze stilistiche che in caso contrario avrebbero potuto convivere in modo più arduo. Il disco di debutto, Popular Mechanics (1997), è caratterizzato da una elettronica minimale, krauta e rarefatta, condita da campionamenti e field recordings. Immaginate di prendere uno scatolone pieno di giocattoli alla rinfusa e rovesciarlo in mezzo ad una stanza: ocio però perché non è detto che dal mucchio, tra innocenti giochi di bambino, non salti fuori anche il pupazzo di Profondo Rosso… Con il sopraggiungere della maturità, nello split con i Matmos, si daranno invece alla musica per orologi di lusso: Rolex per la precisione.
Una deriva dreamy, onirica, si palesa già in quei primi solchi ma trova una forma compiuta soltanto nel secondo splendido Low Birth Weight, uscito l’anno successivo, in cui convergono la tradizione folk inglese, la scuola sognante e malinconica della 4AD ma anche il post-punk di Echo & the Bunnymen, lo shoegaze e la scena post-psichedelica bristoliana dei vari Flying Saucer Attack, Crescent, Movietone, Hood, Matt Elliott ma anche quella made in USA della Kranky e della Darla. Not Fair resta uno dei brani più incantevoli dell’intero repertorio della band, dalla voce leggiadra di Caroline Potter a quella tipica chitarra tremolante i cui assoli diverranno in qualche modo il marchio di fabbrica più riconoscibile della loro produzione. Come poi dimenticare Glen Johnson che esordisce cantando Get me an ugly wife, No man will look twice, I can fall asleep at night and dream of someone else (“Voglio una moglie brutta, così nessun uomo la guarderà più di una volta e la notte potrò dormire sonni tranquilli e sognare un’altra donna”) nella drammatica quanto esilarante Dark Secrets Look for Light? In Snow Drums si respirano invece atmosfere assolutamente post Slint, sembra quasi una versione albionica, fatata, di Spiderland e dei June of ’44, con tanto di accenni di oscuro trip hop, come si usava all’epoca tra alcune band post-rock.
Dopo un altro disco di tutto rispetto come Artists Rifles, in cui lo stile viene perfezionato ulteriormente, approderanno in modo più che ovvio e naturale alla corte della 4AD all’alba del nuovo millennio. Pubblicheranno prima la colonna sonora del film Son de mar del regista spagnolo Bigas Luna e poi, con Writers Without Homes (2002), pur se non riuscito davvero fino in fondo, i Piano Magic toccheranno comunque l’apice della loro carriera, mettendo a segno il colpo definitivo: del resto gli artisti che contribuiscono all’album sono stelle di prima grandezza, da Simon Raymonde dei Cocteau Twins a Paul Anderson dei Tram, dalla storica folk singer Vashti Bunyan ai Tarwater. Nell’iniziale crescendo di (Music Won’t Save You From Anything But) Silence percepiamo una sorta di summa che racchiude un po’ tutta la loro cifra stilistica.
L’anno in corso fa registrare l’uscita del decimo album della band di Glen Johnson, il quale si conferma paroliere beffardo e caustico intitolando questa nuova fatica Life Has Not Finished With me Yet. Lo humour inglese non difetta nemmeno nelle avvertenze che il gruppo ha pubblicato sulla propria pagina facebook in vista del tour italiano: “Alcune cose che dovreste sapere nel caso veniate a vedere un nostro concerto: 1) non siamo Lady GaGa; 2) anche se apparentemente potrebbe non sembrare così, noi ci stiamo davvero divertendo; 3) dopo il concerto avvicinateci tranquillamente, prima meglio di no; 4) siamo a disposizione per matrimoni, feste, funerali; 5) non ci piacciono molto le persone che vengono al concerto solo per filmarlo e mettere il video su Youtube il giorno successivo.” Parole sante. Ricordatele quando andrete a sentirli venerdì 14 dicembre al Bronson di Madonna dell’Albero (Ravenna). In apertura i Bad Love Experience, dalla scuderia Black Candy, e a seguire Dust dj set.