Le richieste della Germania sono state accolto. L’ha spuntata anche il Regno Unito, che voleva mantenere un peso all’interno della regolazione del sistema finanziario, pur restando fuori dall'unione bancaria. Compromessi che rischiano già di indebolire la nuova 'conquista'
Alla fine un accordo sulla supervisione bancaria, condizione indispensabile per mantenere la relativa calma degli ultimi tempi sui mercati riguardo alla crisi dell’euro, è stato trovato. E alla fine, inevitabilmente, il grosso delle richieste della Germania, dagli inizi scettica nei confronti del meccanismo (almeno sulla sua applicazione prima delle elezioni politiche dell’autunno 2013), è stato accolto. L’ha spuntata anche il Regno Unito, che voleva mantenere un peso all’interno della regolazione del sistema finanziario, pur restando fuori dalla futura unione bancaria. Compromessi in salsa europea che rischiano di indebolire già sul nascere la nuova ‘conquista’.
Quali e quante banche saranno oggetto della vigilanza europea. Saranno solo quelle principali, con asset superiori a 30 miliardi di euro, o che rappresentino almeno il 20% del Pil, il Prodotto interno lordo, del loro Paese (a parte se gli asset non sono inferiori ai 5 miliardi dell’euro). Oppure gli istituti di credito che beneficiano di un programma di aiuti europei. Tutto questo significa, come stimato dal ministro francese delle Finanze, Pierre Moscovici, che saranno sottoposte alla supervisione fra le 150 e le 200 banche contro le 6mila che in tutto sono operative nella zona euro. Le altre, quindi, resteranno sotto il controllo degli organi di vigilanza nazionale, anche se la Bce, la Banca centrale europea, intorno alla quale tutto il meccanismo della supervisione europea sarà costruito, potrà chiedere di mettere un istituto sotto esame. La Germania voleva escludere dal perimetro della supervisione centralizzata dalla Bce le sue casse di risparmio regionali, che hanno saldi legami con il mondo politico (anche a livello di finanziamenti dei partiti). Ci è riuscita: le Sparkassen restano sotto il controllo delle autorità tedesche.
Le scadenze dell’unione bancaria. Inizialmente doveva scattare, con il suo sistema di vigilanza, già agli inizi del 2013. Francia, Italia e Spagna erano particolarmente favorevoli a tale prospettiva. Ma ancora una volta la Germania si opponeva. E ancora una volta Berlino ha vinto. Il meccanismo scatterà solo il primo marzo 2014. Entro quella data, comunque, la Bce potrebbe vedersi affidare la supervisione di una banca in difficoltà, prima di un’eventuale ricapitalizzazione da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Frau Merkel teme proprio entro la scadenza delle elezioni operazioni di salvataggio di istituti zoppicanti dell’Europa del Sud (facilitate dall’unione bancaria), che potrebbero innervosire e spaventare i cittadini (e contribuenti) tedeschi. Pericolo scampato con le nuove scadenze.
I (complessi) sistemi di funzionamento. Sempre per salvaguardare il peso delle istituzioni di vigilanza nazionali (e venire incontro alle esigenze della Germania), la supervisione bancaria europea è affidata, all’interno della Bce, a un “consiglio di supervisione”, del quale faranno parte i rappresentanti degli organi nazionali dei 17 Paesi della zona euro, quattro rappresentanti della Banca centrale europea, un presidente e un vicepresidente. C’era poi da risolvere il problema del Regno Unito, che non fa parte dell’eurozona e che non ha intenzione di aderire all’unione bancaria (che in realtà è aperta anche ai Paesi che non hanno adottato la moneta unica). Londra voleva continuare a pesare sui destini dell’organizzazione finanziaria europea, in particolare all’interno dell’Eba, l’Autorità bancaria europea. Ebbene, secondo le regole adottate la notte passata, perché una decisione sia presa dall’Eba, si dovrà avere il via libera sia della maggioranza dei Paesi dell’unione bancaria rappresentati nell’organismo, sia da parte della maggioranza di quelli Eba ma non facenti parte dell’unione bancaria. Londra l’ha spuntata. Ma tutto il sistema rischia di peccare in complessità. E di andare in tilt.