Alla fine il Governo ha dovuto cedere: il programma F-35 viene azzerato e verranno valutate altre opzioni per sostituire l’attuale linea caccia dell’Aeronautica. Da oltre un anno l’opinione pubblica si era mobilitata contro un acquisto considerato troppo oneroso per un aereo il cui sviluppo non è ancora terminato. Il Ministero della difesa aveva fornito ripetutamente notizie contraddittorie, anche al Parlamento, sui costi reali dell’operazione. Ma ieri l’annuncio ufficiale dello stop al programma: non possiamo permettercelo.
Naturalmente non siano in Italia, ma in Canada dove il ministro della Difesa, il conservatore Peter MacKay, ha ieri fatto l’esplosivo annuncio dopo aver negato per molti mesi che fossero vere le notizie di una differenza abissale tra i costi ammessi ufficialmente e quelli reali del programma per il caccia F-35. Il ministero sosteneva che i costi del programma sarebbero stati di circa 9 miliardi di dollari per il solo acquisto, per poi riconoscere, dopo un rapporto della Corte dei conti canadese, che l’investimento per il ciclo di vita dell’aereo sarebbe arrivato a 25 miliardi. Ora il colpo di scena annunciato: l’F-35 costerebbe al Canada 45,8 miliardi di dollari nei 42 anni di durata prevista del programma. Troppo.
Di qui l’annuncio del “reset”, come l’hanno definito i canadesi: si rifaranno le valutazioni e una decisione sulla sostituzione dell’attuale flotta di caccia della Royal Canadian Air Force verrà presa dopo che saranno state valutate tutte le opzioni, compreso l’eventuale acquisto dell’europeo Eurofighter Typhoon o dello statunitense Boeing Super Hornet.
Il colpo di grazia al programma canadese è venuto da uno studio commissionato da Ottawa alla società di consulenza KGPM che ha fissato appunto in 45,8 miliardi di dollari il costo che il Paese dovrebbe sostenere se dovesse acquistare gli F-35. Un’operazione di trasparenza che qui da noi nessuno sembra abbia intenzione di fare. A febbraio il generale Debertolis, segretario generale della Difesa, aveva fornito in audizione alla Camera con il generale Esposito, direttore degli armamenti aeronautici, cifre sui costi dell’F-35 poi smentite, come ammesso dallo stesso Debertolis. Qualcuno ha sentito proteste indignate dalla politica? Richieste di spiegazioni? Commissioni di inchiesta? Salvo le solite voces clamantis in deserto, silenzio. Anzi, quando Di Paola ha preteso che il Parlamento approvasse la legge di riforma delle Forze armate, una maggioranza bulgara gliel’ha votata.
L’Italia, poi, di tutti i Paesi coinvolti nel progetto, è come sempre il più zelante. Siamo infatti l’unico Paese al mondo, al di fuori degli Usa, ad aver costruito uno stabilimento per l’F-35, il cosiddetto FACO (Final Assembly and Check Out), per il quale sono già stati spesi 800 milioni di euro. Questo sulla base della prospettiva di avere commesse dalla Lockheed. “Diecimila posti di lavoro” è stato annunciato da tutti i governi di centro-sinistra e di centro-destra che si sono succeduti negli ultimi dodici anni. Anche questa una bugia: i posti di lavoro saranno tra i 500 e i 1500, non di più.
Cosa significa tutto ciò per l’Italia? Considerando che i sogni di grandeur dei nostri governanti, prigionieri di decisioni prese per loro dai vertici militari, prevedono adesso 91 aerei, di cui 30 nella versione a decollo verticale molto più costosa della versione convenzionale, possiamo aspettarci una spesa che per il solo acquisto attorno ai 14 miliardi di dollari, oltre ai 2 che abbiamo già speso per la fase di ricerca e sviluppo e al quasi miliardo che ci costa la FACO. In totale dunque 17 miliardi di dollari. Mentre per operare questa flotta imperiale dobbiamo mettere un bilancio, pantografando le cifre canadesi, altri 51 miliardi di dollari in 40 anni. Alla fine l’F-35 toglierà dalle già esauste tasche degli italiani 68 miliardi di dollari, o, se preferite, 52 miliardi di euro. Un vero affare.