Non fu evasione. O almeno forse l’intento de il direttore de “Il Giornale” non voleva davvero evadere, ma fare un gesto simbolico. Si può spiegare così l’assoluzione di Alessandro Sallusti dall’accusa di essere evaso dai domiciliari disposti dopo la condanna definitiva a 14 mesi per diffamazione confermata dalla Cassazione. E’ finito così stamani il processo per direttissima a suo carico. Il caso ha suscitato un dibattito intenso, anche sul Fatto Quotidiano, il rischio che al Senato venisse approvata una riforma della legge sulla diffamazione che prevedeva il carcere per i giornalisti ma non per i direttori.
Il 30 novembre scorso il giudice della sorveglianza di Milano ha disposto gli arresti domiciliari, dopo la richiesta della Procura di Milano che chiedeva che venisse applicato al caso il decreto svuota carceri. Una scelta dello stesso procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati, che aveva suscitato la protesta dei pm dell’ufficio esecuzione. Il giornalista li aveva “rifiutati” ribadendo la sua volontà a voler andare in carcere e di essere arrestato. Aveva quindi dichiarato di voler scontare i domiciliari a casa della sua compagna Daniela Santanchè, per poi cambiare nuovamente idea, recarsi in redazione e dichiarare di non volersi “muovere” da lì: “Che mi vengano ad arrestare qui”. Cosa che era puntualmente avvenuta quando il giornalista era uscito di casa.
Dopo la lettura della sentenza Sallusti è apparso commosso. Il pm Piero Basilone aveva chiesto per lui la condanna a 6 mesi e 20 giorni di carcere per tentata evasione, ma il giudice ha assolto il giornalista perché “il fatto non sussiste”. “Non è mai stata violata nessuna norma – ha commentato Ignazio La Russa, che ha difeso Sallusti insieme all’avvocato Valentina Ramello – Sallusti era insieme agli operatori della polizia giudiziaria”. I difensori di Sallusti avevano chiesto l‘attenuante per fatti di particolare valore morale che, comunque, il pm non aveva ritenuto di accogliere. L’assoluzione fa decadere anche la sospensione per Sallusti dall’ordine dei giornalisti. Resta la condanna definitiva a 14 mesi di carcere per il reato di diffamazione. Alcuni parlamentari, ha detto La Russa, stanno promuovendo una raccolta di firme per chiedere la grazia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che aveva fatto sapere che stava studiando il caso. Tra questi c’è lo stesso la Russa. La raccolta firme è stata promossa dal capo ufficio stampa del Pdl, Luca D’Alessandro.