Il tribunale ha dato ragione ai parenti di Michelangelo Manini, ex proprietario della Faac. Ora potrebbero servire anni per sbloccare la situazione. E i primi a rischiare sono i 1400 dipendenti del colosso dei cancelli automatici. La Fiom/Cgil: "Siamo preoccupati"
La vicenda della Faac ricomincia da capo. La Chiesa di Bologna infatti non avrà più in mano l’azienda leader mondiale dei cancelli automatici. L’Arcidiocesi emiliana ha visto respinto il ricorso contro il sequestro dei beni appartenuti a Michelangelo Manini, proprietario dell’azienda scomparso prematuramente a marzo. Dopo la morte era subito venuto alla luce un testamento con cui il manager lasciava tutto, compreso le sue azioni della multinazionale, alla Curia. Ma i parenti del defunto si erano subito opposti, mettendo in piedi una causa civile contro quel documento considerato falso. In conseguenza hanno chiesto che, mentre la causa va avanti, tutti i beni vengano presi in custodia dal tribunale. E così è stato deciso in queste ore.
L’ordinanza del giudice parla chiaro: “E’ senz’altro opportuno provvedere alla custodia e alla gestione temporanea dei beni (..); sono beni mobili e quote di società, come tali facilmente e in ogni momento alienabili a terzi”. Tradotto: il timore dei parenti, ritenuto fondato dal giudice, è che senza il sequestro c’è la possibilità che azioni e titoli vengano venduti ad altri, nonostante sia ancora aperta una causa civile per decidere a chi andrà quel patrimonio da un miliardo e mezzo di euro.
Un vero terremoto dunque anche per i 1.430 dipendenti, che in primavera ricevettero la visita del loro nuovo “padrone”: nientemeno che il cardinale Carlo Caffarra. La Fiom-Cgil stessa si mostrò ben disposta di fronte alla nuova e inaspettata gestione ecclesiastica delle sue tute blu dentro Faac.
Ma ormai quella foto è vecchia. Dopo la strenua battaglia dei parenti – capitanati dallo zio di Manini, Carlo Rimondi, e assistiti dall’avvocato Rosa Mauro – ora la Curia dovrà rimettere nelle mani di un custode giudiziario, il professor Paolo Bastia, il 66 % dei titoli della multinazionale dei cancelli automatici. La dirigenza della Faac, tuttavia, non dovrebbe cambiare, e teoricamente anche i manager nominati dall’Arcidiocesi dovrebbero stare al loro posto. A dirlo è la stessa ordinanza del giudice. “Il sequestro non avrà ricaduta o incidenza alcuna sulla amministrazione e sulla dirigenza (…) dell’azienda Faac”.
La dirigenza però rischia di essere molto limitata. Il custode giudiziario infatti avrà “l’obbligo di richiedere l’autorizzazione al giudice del merito per qualunque decisione che superi la gestione ordinaria e con l’obbligo di rendiconto annuale”. Per ogni azione straordinaria dunque, per esempio acquisizioni, fusioni, ci vorrà l’assenso del magistrato. Per i dipendenti Faac, che si son trovati in mezzo ai due fuochi, potrebbe aprirsi un momento di incertezza, anche perché chi detiene la maggioranza delle azioni e ha l’ultima parola sulla strategia aziendale, sarà comunque un giudice e non un manager. “Siamo preoccupati, rischia di essere una situazione ingessante”, si limita a dire a caldo Nicola Patelli, della Fiom-Cgil
La storia della eredità Faac non è una semplice diatriba: è un romanzo. In estate era anche comparso un altro pretendente, il dentista del manager scomparso, Lucio Corneti, che presentò un testamento che Manini gli avrebbe lasciato scritto su un foglio di carta: un modulo per il consenso del trattamento dei dati. Ma la questione è finita sotto la lente dei magistrati di Modena che hanno indagato Corneti per falso.
Poi a ottobre il colpo di scena. Una delle parenti di Manini, sua cugina Mariangela, fa una rivelazione: “In realtà sono la sorella di Michelangelo, non la cugina. Mia madre è scomparsa da tempo. Prima di morire – spiega la cugina-sorella – mi ha confessato di aver avuto rapporti intimi con Giuseppe Manini quando era già sposata con mio padre”. E anche questa parentela sarà verificata in tribunale.
Oggi infine un giudice ha deciso per la seconda volta (già a ottobre fu deciso il sequestro poi bloccato dal reclamo della Curia), che i dubbi sulla veridicità del testamento alla Chiesa sono almeno legittimi. In attesa che un altro giudice quei dubbi li sciolga, insieme alle paure dei lavoratori.