Scienza

Le malattie dei poveri

Oggi c’era un bel congresso all’Istituto Pasteur di Parigi, intitolato “Parasitism: a Life Style”. Non avevo tempo di andarci e comunque due giorni di missione scientifica a Parigi non possono costare meno di 6-700 euro, troppo per il finanziamento dei nostri progetti di ricerca che di solito non arriva a 10.000 euro all’anno per l’intero gruppo partecipante che spesso conta 5 membri o più. Peccato. Per fortuna c’è internet e molto di quello che si dice in queste occasioni è comunque accessibile anche a chi non ha partecipato.

Le malattie discusse in questo congresso sono dovute a parassiti, croniche e a grande diffusione: la malaria colpisce mezzo miliardo di persone e la schistosomiasi duecento milioni. La tripanosomiasi africana rispetto a queste due è relativamente rara: 10.000 nuovi casi all’anno. La toxoplasmosi ha una diffusione molto grande, ma è più benigna e questo comporta che ve ne siano molti casi asintomatici. Le parassitosi gravi sono prevalentemente o esclusivamente diffuse nei paesi a clima tropicale e subtropicale: paesi in via di sviluppo che non possono permettersi grandi investimenti per la ricerca e per la salute pubblica. Consegue che, a parte la malaria, queste malattie sono poco studiate e non c’è grande interesse neppure da parte delle industrie farmaceutiche perché il mercato è poco appetibile. Gli investimenti in ricerca e sviluppo su queste malattie vengono dagli stati che hanno o hanno avuto relazioni commerciali importanti con i paesi tropicali (spesso paesi con passato coloniale) o da fondazioni private. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha un osservatorio permanente dedicato soltanto a queste malattie.

Una strategia economicamente perseguibile per la terapia di queste “malattie dei poveri” è quella di cercare nell’arsenale dei farmaci già in uso per altri scopi molecole che possiedano attività antiparassitaria: infatti i costi di uno studio clinico su un farmaco già noto, del quale si vuole soltanto testare una nuova attività sono drasticamente inferiori a quelli di uno studio analogo condotto su una molecola completamente nuova. E’ un campo di ricerca al quale io stesso ho partecipato: alcuni laboratori scientifici, tra i quali il nostro, sono stati coinvolti nello studio dell’attività antimalarica e antischistosomiasica di un antiinfiammatorio a base di oro chiamato auranofina.

Il controllo delle parassitosi tropicali richiede grandi investimenti e tempi molto lunghi, e il farmaco (o più ambiziosamente il vaccino, se si rendesse disponibile) rappresenta soltanto una parte della soluzione complessiva, che richiede anche il potenziamento delle strutture sociosanitarie locali (ambulatori, trasporti, etc.). Il problema ha grande rilievo: è stato stimato che in Africa muore di malaria un paziente ogni minuto; molte delle vittime sono bambini. Purtroppo la ricerca sulle parassitosi tropicali non porta risorse: poche industrie sono disposte a investire su questa ricerca e se lo fanno è solo perché lo stato garantisce sgravi fiscali come incentivo (quindi offre soldi pubblici). Quanto ai finanziamenti pubblici, in epoca di razionalizzazione della spesa ottenere finanziamenti per la ricerca è sempre più difficile e la ricerca sulle malattie “degli altri” è la prima che la politica ha interesse a “razionalizzare”. Le nostre ricerche sulle malattie parassitarie sono state da tempo “razionalizzate”: continuiamo a lavorare grazie ai finanziamenti dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Istituto Pasteur – Fondazione Cenci Bolognetti.