Donne, ma che vi laureate a fare? Se si dà uno sguardo ai dati diffusi da Ypo, associazione no profit che riunisce i giovani presidenti e amministratori delegati di realtà aziendali internazionali, viene da porsi questa domanda provocatoria. In occasione dell’inaugurazione di una serie di incontri sul tema dell’uguaglianza di genere, con un focus sui vertici delle società, Ypo, il 12 dicembre, ha fornito un po’ di numeri: sebbene le donne rappresentino circa il 60 per cento dei laureati, la quota di amministratrici delle maggiori aziende europee quotate in Borsa ammonta ad appena il 12% del totale e solo nel 3% dei casi le stesse ricoprono il ruolo di presidenti.
In altri termini, già sono rare le donne nei board delle aziende europee, ma quelle in posizioni di vertice all’interno degli organi (presidentesse e amministratrici delegate) sono addirittura vere e proprie mosche bianche. A riguardo, in occasione di un convegno sulla parità di genere che si è tenuto il 28 novembre all’Università Bocconi di Milano, Elena Gennari, ricercatrice della Banca d’Italia, ha fatto notare: “Dai nostri studi emerge che il divario tra uomo e donna nel mercato del lavoro è esasperato se si guarda ai vertici delle società”. Per non parlare poi del divario di salario tra maschi e femmine, che risulta in costante aumento.
Guardando all’Italia, secondo lo studio dell’Ypo, le donne dirigenti sono circa il 12%, contro il 37% della Francia, il 35% del Regno Unito e il 21% di Spagna. Anche Oltreoceano la strada da percorrere per l’uguaglianza di genere all’interno delle società sembra piuttosto lunga, ma meno che in Europa: Ypo evidenzia che negli Stati Uniti le donne che siedono nei consigli di amministrazione delle maggiori aziende si attestano sul 15,6%, in aumento di un punto percentuale rispetto a un anno fa, con le società più piccole (tra i 500 e i 1000 dipendenti) che in questo campo hanno messo a segno la crescita maggiore.
Uno studio risalente a maggio 2012 e firmato dalla ricercatrice Marta Favara ha tentato di rispondere al non semplice interrogativo: “Perché le ragazze di talento scelgono carriere scolastiche che conducono a lavori meno pagati di quelli degli uomini?”. E la risposta è “per via degli stereotipi di genere“. Tali preconcetti, infatti, secondo quel che emerge dalla ricerca, influenzano le scelte delle ragazze fin da quando si trovano davanti alla prima importante decisione da prendere nell’ambito del proprio percorso educativo. In altri termini, gli uomini tendono ad assecondare molto di più il proprio talento e le proprie abilità, scegliendo carriere più improntate alla matematica e all’analisi quantitativa. Un sentiero che, una volta proiettato nel mondo del lavoro, tende a tradursi in maggiori salari e maggiore potere. Al contrario, le donne sembrano restare invischiate nel pregiudizio – che non ha alcun riscontro effettivo, come la stessa ricerca sottolinea – per cui sarebbero più portate a carriere umanistiche e, in generale, meno orientate alla matematica. All’alba del 2013, dunque, è ancora difficile sganciarsi dagli stereotipi di genere. E, naturalmente, non solo da quelli.