“I nostri cuori sono spezzati”. Barack Obama appare davanti alle telecamere nel primo pomeriggio americano. Piange. Appare sconvolto per le notizie che arrivano da Newtown. Spiega di aver telefonato al governatore del Connecticut, Dannel P. Malloy, e di avergli offerto tutte le risorse del governo federale necessarie alle indagini sulla strage della Sandy Hook Elementary School. Conclude con una promessa: “E’ ora di prendere provvedimenti”.
Le stesse parole – “Ho il cuore a pezzi” – Obama aveva pronunciato lo scorso luglio, dopo il massacro al cinema di Aurora, Colorado. In quell’occasione il presidente aveva chiesto “misure di buon senso” per limitare uso e abuso delle armi negli Stati Uniti. In campagna elettorale il tema delle armi era però stato praticamente assente – soltanto in occasione del secondo dibattito televisivo Obama aveva annunciato di essere a favore di un bando alle armi d’assalto. Nulla era dunque successo dopo Aurora, come nulla era successo dopo Columbine, dopo Virginia Tech, dopo la strage allo shopping mall di Tucson.
“In tema di armi, tutto si riduce a una semplice parola. Politica”, ha spiegato Harry Wilson, autore di un libro sul porto d’armi negli Stati Uniti. In effetti, nessun politico in questi anni ha osato mettersi contro la National Rifle Association (NRA), la potentissima e ricca lobby delle armi, con più di quattro milioni di membri, molti di questi concentrati in Ohio, Florida, Virginia, swing states fondamentali per vincere le elezioni presidenziali. Chi ha toccato gli interessi della lobby ha pagato molto caro. Nel 1994, poco prima delle elezioni di mid-term, Bill Clinton fece passare a forza una legge per mettere al bando i fucili d’assalto. Quell’anno i democratici persero il controllo di Camera e Senato e la National Rifle Association fece affluire centinaia di migliaia di dollari nella campagna per sconfiggere i candidati più ostili.
Oltre il potere della lobby, esiste però un elemento storico e culturale. Nonostante tragedie, morti e dolore, la maggioranza degli americani continua a ritenere intoccabile il Secondo Emendamento. Negli Stati Uniti, un Paese di 311 milioni di persone, esiste un numero di armi all’incirca simile (difficile dirlo con esattezza, visto che non esiste un registro federale aggiornato delle armi da fuoco in circolazione). In 130 mila punti vendita è possibile comprare legalmente una pistola o un fucile (un numero enorme, considerato che sul territorio nazionale esistono 144 mila distributori di benzina). L’appoggio al porto d’armi è andato, negli anni, aumentando. Un sondaggio Gallup del 2010 mostra che in 20 anni il sostegno a misure più severe su acquisto e porto d’armi è calato del 34% tra gli americani. E una sentenza della Corte Suprema del 2008, la “District of Columbia v. Heller”, ha allargato la possibilità di girare armati, dando un colpo pesante ai sostenitori del gun control negli Stati Uniti.
Possibile comunque che dopo la strage di Newtown, particolarmente agghiacciante perché avvenuta in uno Stato del New England dove esistono norme più severe su vendita e porto d’armi, il dibattito sul Secondo Emendamento riprenda forza. Se alcuni politici si sono limitati a offrire le loro condoglianze, altri hanno approfittato dell’occasione per chiedere interventi concreti. Il sindaco di New York Michael Bloomberg, uno degli animatori con il primo cittadino di Los Angeles Antonio Villaraigosa dei “Mayors Against Illegal Guns”, ha detto che “è ora di farla finita con questa follia. Obama giustamente ha inviato le sue condoglianze alle famiglie di Newtown. Ma l’America ha bisogno che il presidente invii un progetto di legge al Congresso per risolvere il problema. Non basta più chiedere azioni di buon senso. Abbiamo bisogno di fatti”. Stessi accenti accorati ma tesi all’azione nella dichiarazione di Mark Kelly, il marito di Gabrielle Giffords, la deputata sopravvissuta alla sparatoria allo shopping mall di Tucson nel 2011. “Questa volta la nostra risposta deve consistere in qualcosa di più che rimpianto, dolore, condoglianze – ha scritto Kerry sulla sua pagina Facebook -. I bambini della Sandy Hook Elementare School e tutte le vittime della violenza meritano dei leader che abbiano il coraggio di partecipare a una discussione su come riformare le leggi sulle armi”.
Subito dopo il massacro di Newtown, una petizione online è stata creata sulla pagina “We the People” della Casa Bianca. Il documento, che chiede a Obama di “affrontare immediatamente la questione del controllo delle armi con l’introduzione di una legge al Congresso”, ha ottenuto in poche ore migliaia di adesioni, più delle 25 mila necessarie perché l’amministrazione la prenda in considerazione. Rinnovati appelli a una nuova legislazione sono anche venuti da gruppi come la “Coalition to Stop Gun Violence” e la “Brady Campaign to End Gun Violence”. Il fatto che questa volta, tra i morti, ci siano 20 bambini potrebbe del resto far crescere l’indignazione e la richiesta di provvedimenti più energici. Anche se non tutti sono pronti a scommetterci. Nel passato più volte bambini e ragazzi sono stati vittime della violenza e nulla è successo. Lo ha scritto in un suo tweet Michael Moore, il regista di “Bowling for Columbine”: “E’ troppo presto per parlare di una nazione pazza per le armi? No, è troppo tardi. Ci sono stati almeno 31 sparatorie nelle scuole a partire da Columbine”.