Per salvare la sua banca due anni fa si era addirittura speso in prima persona l’allora ministro dell’Economia Evangelos Venizelos, che aveva autorizzato un trasferimento di 100 milioni, poi seguiti da altri 800, da un’agenzia di Stato. E lo aveva fatto bypassando una legge greca che vietava depositi delle amministrazioni pubbliche presso le banche in difficoltà finanziarie. Oggi il suo arresto riporta al centro dello scandalo la “sua” Proton Bank, nazionalizzata nel 2011 con tutti i suoi debiti.
L’oligarga greco Laurentis Lavrentiadis, uno dei nomi eccellenti finiti nella Lista Lagarde, è stato arrestato la notte scorsa assieme ad altre sedici persone nella sua hollywoodiana villa sul litorale ateniese. I pubblici ministeri sospettano che l’ex azionista di maggioranza della Proton, che rischia l’ergastolo, abbia finanziato attività illecite e criminali. Fra gli arrestati anche due uomini rana dei corpi speciali militari, due alti funzionari della Guardia Costiera, un dirigente del Mat (le teste di cuoio greche) e diversi manager del suo gruppo finanziario.
Un mandato di arresto è stato spiccato anche per l’editore Petros Kyriakides (al momento latitante) in relazione alla presunta concessione da parte della Proton Bank di circa 900 milioni di dollari di crediti inesigibili. Lavrentiadis è stato portato nell’ospedale psichiatrico di Dafni in quanto soffre di artrite reumatoide acuta, ma oggi dovrebbe essere trasferito nel carcere ateniese di Korydalos. E ha dichiarato che “il sistema giudiziario greco è responsabile di tutto ciò che potrebbe accadermi”.
Un procuratore aveva presentato accuse penali contro di lui all’inizio di quest’anno in relazione al crollo della Proton. Nonostante fosse solo una piccola banca ellenica, si è spesa per numerosi prestiti ad alto rischio ed è stato il primo istituto greco ad essere ufficialmente nazionalizzata dopo la decisione della Troika di concedere gli aiuti finanziati al Paese tramite il fondo Salva stati. Sotto osservazione sono finite altre 27 società riconducibili a lui.
L’accusa è di aver riunito una banda di criminali per riciclare denaro utilizzando gli interessi su prestiti che si ritiene siano stati emessi da Bank Proton. Frodi ripetute e congiunte con l’aggravante della legge 1608/50 su coloro che abusano degli appoggi del governo. Eppure fino al crollo della Proton, Lavrentiadis era considerato l’uomo d’affari più promettente della Grecia. Aveva anche restituito ben 51 milioni scomparsi dai bilanci della banca, non senza un secondo fine.
La mossa era infatti arrivata dopo il congelamento dei suoi beni da parte dell’autorità giudiziaria e così Lavrentiadis si era appellato a una legge greca per ottenere l’immunità da procedimenti giudiziari per gli accusati che rimborsano i proventi di un reato. Il dossier su di lui è stato ora riaperto dopo un’indagine della Banca centrale greca che ha rilevato prestiti anomali di Proton per oltre 600 milioni, cioè oltre il 30% del portafoglio crediti dell’istituto, andati a una serie di società controllate dallo stesso Lavrentiadis, come Alapis.
Si fa quindi sempre più cupo l’epilogo di una storia imprenditoriale nata quando Lavrentiadis aveva raggiunto la maggiore età, coincisa con la morte di suo padre. A quel punto inizia a frequentare un corso serale all’American College, ma il colpo di fortuna lo deve ai suoi problemi di salute. Una forma rara e acutissima di artrite lo porta al Monte Athos, nel Monastero Vatopedi. Lì, il famoso Efraim conduce in pellegrinaggio tutti i politici greci di prima fascia. E lì, in seguito ad alcuni trattamenti, Lavrentiadis trova giovamento e c’è addirittura qualcuno che parla di miracolo.
Ma il rapporto col monastero da sanitario si fa economico, con gli intrecci che sono seguiti all’acquisto di Vatopedi. Un anno dopo la sua azienda Neochimiki vede fioccare nuovi partner: la Hoechst in Aulide e la Henkel Atalanta. In sette anni il giovane e inesperto Lavrentiadis instaura rapporti anche con giganti finanziari come Sal Oppenheim. Tanto che nel 2003, nonostante i primi segnali di crisi del settore, alcuni investitori stranieri decidono di puntare sulla sconosciuta azienda chimica.
Nel 2007, però, Neochimiki non riesce a centrare gli obiettivi di utile. E nel 2008 Lavrentiadis la vende al fondo Carlyle per 749 milioni, ma poco dopo la società viene pesantemente svalutata. Tanto che Carlyle, che il fondo finanziato dalla famiglia Bush, avvia un contenzioso per contestare l’esattezza dei dati di bilancio forniti dal futuro oligarca cui chiede di ricomprarsi la sua quota di Neochimiki. Ma c’è poco da fare, a Carlyle non rimane che contare la perdita di 700 milioni realizzata in un anno.
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