Una delle più grandi truffe ambientali giocate ai danni della Terra e dei poveri della Terra dal capitalismo in questi decenni è quella dei biocombustibili.
Sponsorizzati dallo stesso protocollo di Kyoto per ridurre le omissioni di CO2 nell’atmosfera, ed utilizzati essenzialmente per la sostituzione totale o parziale di benzina e gasolio nei motori delle automobili (specie in Sudamerica e soprattutto in Brasile), in realtà essi producono molto più danni che vantaggi.
Innanzitutto, quello che non si dice è che per produrre biocombustibili, in molte parti del mondo si procede alla deforestazione. Appunto in Brasile, dal 200 al 2007, più di 154.312 chilometri quadrati di foresta sono andati perduti: un’area pari alla superficie della Grecia. E gran parte di ciò è avvenuto per fare spazio proprio a coltivazioni di biocarburanti.
Dal 1990 l’Indonesia ha distrutto 28 milioni di ettari di foresta pluviale per far posto a piantagioni di palma da olio anche per produrre biodiesel. In Colombia il Ministero dell’Agricoltura viene ormai chiamato ironicamente «ministero della palmicultura» per l’appoggio che fornisce all’espansione delle coltivazioni di palma da olio.
Il risultato è un saldo decisamente negativo per quanto riguarda l’emissione di CO2 a livello terracqueo, oltre che di ovvia e straziante perdita di biodiversità.
A questo dato che possiamo definire “terrificante”, si aggiungono altre considerazioni.
I biocombustibili, nella presunta convinzione (non supportata scientificamente) che facciano diminuire le emissioni, godono di forti sovvenzioni, di cui beneficiano ovviamente i produttori. Questo stimolo ha fatto sì che immense estensioni di territorio agricolo che prima erano soggette ad altre colture e ad avvicendamento delle colture, ora siano assoggettate a monocolture, con eliminazione dell’avvicendamento.
Nel 2006 gli Stati Uniti hanno utilizzato ben il 20% del loro raccolto di mais per produrre cinque miliardi di galloni di etanolo (che non sostituisce peraltro la benzina, ma viene aggiunto ad essa), da soli sufficienti a sostituire appena l’1% del consumo di petrolio.
Altri effetti negativi indotti in compenso sono: che i suoli si impoveriscono, destinati come sono solo alla monocoltura e senza rotazioni; che riducendo le coltivazioni per scopi alimentari, i prezzi delle derrate alimentari aumentano; che spesso i contadini (soprattutto in Oriente e Sudamerica) vengono espropriati delle loro terre per fare spazio a queste coltivazioni. E comunque introduciamo qui en passant, anche se fuori moda ormai, il discorso di carattere etico che coltivare per muovere le automobili appare quanto meno immorale.
Ma allora se per quanto riguarda i biocombustibili esistono solo contro e non pro, perché spingerli in tutti i modi? “Non sarà che dietro il discorso ci stanno grosse motivazioni di carattere economico che spingono in tal senso?” domanderete voi. Esatto! Dietro l’immenso affare dei biocombustibili ci stanno le multinazionali dei semi, e del loro commercio, Monsanto, Dupont, Cargill, Sygenta, sopra tutte.
In estrema sintesi, per soddisfare gli appetiti delle multinazionali del cibo (spesso Ogm, tra l’altro), si alimenta l’effetto serra, si impoveriscono i suoli, si abbattono porzioni di foreste equatoriali, si danneggia la biodiversità, aumentano i prezzi delle derrate alimentari di base, si impoveriscono le popolazioni rurali del mondo.
Il paradosso è talmente grave ed evidente che la stessa Onu nel 2007 definì i biocarburanti “un crimine contro l’umanità”.
E l’Italia? Non sta certo alla finestra. Corrado Clini, ancora per poco Ministro dell’Ambiente, è “chaiman della Global Bioenergy Partnership), un’iniziativa del Gruppo G8 + 5 per la promozione della produzione e degli usi sostenibili delle bioenergie, alla quale partecipano 18 paesi.” Complimenti, signor Ministro!
Per chi volesse approfondire il tema dei biocombustibili, consiglio il libro di Vandana Shiva, “Ritorno alla terra”, Fazi Editore.