Louise Thomas, 45 anni, ex ufficiale della polizia britannica, potrebbe suo malgrado diventare un personaggio storico. “Ho deciso di dimettermi a luglio scorso dall’Iraq Historic Allegations Team (IHAT) per non essere complice di una operazione di insabbiamento”, ha dichiarato l’11 dicembre scorso, durante l’udienza preliminare della Corte britannica chiamata a fare luce sui crimini commessi dai militari britannici ai danni di civili iracheni durante la guerra in Iraq dal 2003 al 2008.
Per rispondere alle pressioni dell’opinione pubblica, nel 2010, il ministero della Difesa britannico dispose la nascita dello IHAT per fare chiarezza su 1100 casi di abusi ai danni di civili iracheni dei quali sono accusati dalle organizzazioni non governative i militari del contingente britannico che hanno prestato servizio in Iraq dopo l’invasione del paese arabo da parte di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. La decisione di non dar vita a una commissione d’inchiesta pubblica venne aspramente criticata dai media e dagli attivisti, ma il governo del premier David Cameron ritenne la questione di interesse strategico per il Paese, secretandone i lavori.
La Thomas venne chiamata, assieme ad altri ufficiali di polizia e militari, a formare il team degli investigatori dove iniziò a lavorare a gennaio 2012. Solo che, come ha dichiarato l’ex ufficiale di polizia, “dopo sei mesi di lavoro, confrontandomi con altri membri del team, mi sono resa conto che tutta l’operazione voleva solo soddisfare l’opinione pubblica, senza voler arrivare alla verità. Era molto frustrante”. L’ufficiale aveva un compito particolare: rivedere i video registrati durante gli interrogatori dei militari britannici per verificare che fossero stati rispettati i canoni del Protocollo di Istanbul contro la tortura. Solo che la Thomas ha scoperto che migliaia di video erano scomparsi e quelli che vedeva erano tutti perfetti.
In particolare nessun elemento utile a giudicare il lavoro del Joint Forces Interrogation Team (Jfit), gli specialisti britannici delegati al reperimento di informazioni in zona di guerra, sono stati interrogati sui loro metodi e costretti a fornire le immagini dei loro interrogatori. Le sue accuse sono in linea con quelle del team di avvocati britannici che difendono gli interessi dei civili iracheni che hanno denunciato gli abusi, secondo cui il IHAT non è indipendente, avendo arruolato i suoi investigatori tra le file della Royal Military Police (Rmp) e di altre forze dell’ordine governative. Nessun membro indipendente è stato chiamato a far parte del team.
La corte dovrà decidere se davvero il lavoro della IHAT non è stato trasparente, nel qual caso a gennaio dell’anno prossimo potrebbe iniziare una vera e propria inchiesta sulle zone d’ombra della missione militare britannica in Iraq, ordinata dal governo di Tony Blair, che potrebbe essere – nella più grave delle ipotesi – essere accusato di crimini di guerra. L’attuale governo di Londra, pur di colore opposto a quello dell’epoca, si troverebbe in grande imbarazzo rispetto alla lobby dei militari molto potente in Gran Bretagna. Philip Havers, rappresentante legale del ministero della Difesa britannico, ha accusato la Thomas di esagerare le sue denunce perché le è stato rifiutato il reintegro nel team dopo le sue dimissioni, ma Phil Shiner, che rappresenta in aula gli interessi delle famiglie irachene, si è dichiarato ottimista: “Noi chiediamo che non ci siano solo militari a indagare su loro stessi e, se la corte ci darà ragione, a gennaio, avremo finalmente un’inchiesta pubblica e indipendente su quanto è accaduto in Iraq”.