Don Franco Reverberi, 75 anni, è ospitato nella canonica di Sorbolo (Parma) e dice messe una volta alla settimana. Nel 1980 per due anni sarebbe stato cappellano militare con il grado di capitano in un paesino delle Ande. Secondo l'accusa era presente alle uccisioni dei desaparecidos da parte dei militari senza denunciarli
A Sorbolo, un paesone della Bassa a cavallo tra il Po e la città di Parma, tutti lo conoscono come il prete venuto dall’Argentina. Ma da qualche giorno la foto segnaletica di don Franco Reverberi compare nel sito dell’Interpol tra le persone ricercate. Sul ritratto del parroco di 75 anni c’è la parola “wanted”, con l’invito a rivolgersi alla polizia locale nel caso si avessero informazioni su di lui. I suoi concittadini ne hanno quanto basta sapere del proprio parroco: “Una brava persona – dicono i fedeli che escono dalla chiesa dopo un momento di preghiera – Faceva il missionario in Argentina”. Nessuno che però sappia di quel passato ritornato improvvisamente nella vita di don Franco Reverberi, che in Italia è tornato da circa un anno dopo una vita passata in Sud America. L’inchiesta in cui compare il suo nome al momento lo vede ricercato con l’accusa di crimini contro l’umanità per fatti accaduti ai tempi della dittatura di Jorge Videla.
Il filo che lega don Reverberi all’Argentina è la parrocchia di Salto de Las Rosas, vicino a San Rafael, dove era stato parroco per diversi anni, dopo essersi trasferito in Argentina con la famiglia quando ancora era un bambino. È da San Rafael che arrivano le accuse al parroco: per due anni, nel 1980, don Franco è stato cappellano militare con il grado di capitano nella cittadina vicina alle Ande. E in quel ruolo avrebbe assistito, secondo le testimonianze di ex detenuti, ai sequestri, alle torture e alle uccisioni dei dissidenti da parte dei militari del regime, sotto cui ad oggi si contano circa 30mila desaparecidos tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. La procura federale di San Rafael ha dato mandato di arresto per 35 persone tra ex militari e agenti colpevoli di quei crimini. Anche don Franco era stato sentito dai magistrati nell’inchiesta aperta nel 2010, ma aveva sempre giurato di non sapere nulla di quei fatti. Eppure le accuse contro di lui parlano chiaro: secondo alcuni sopravvissuti alle violenze, avrebbe assistito alle torture dei militari senza denunciare l’accaduto.
Da quel tempo sono passati più di trent’anni. Don Franco nel frattempo è tornato in Italia dopo un problema di salute, ospite della parrocchia di don Giuseppe Montali a Sorbolo, dove ha sempre fatto ritorno ogni tanto per fare visita ad amici e parenti. In paese è conosciuto da tutti quelli che frequentano la parrocchia. “Viene a dire messa, confessa, lo conosciamo da quando è qui. Non sappiamo altro”. A poche centinaia di metri dalla chiesa, gli anziani al bar centrale guardano con stupore la fotografia dell’anziano parroco, il suo nome riportato nero su bianco sul Corriere della Sera, collegato al racconto di fatti orribili. “Non farebbe mai del male a nessuno” commenta leggendo un uomo sulla sessantina. Nel centro del paese immerso nella nebbia, già addobbato per la celebrazione del Natale, la notizia ha destato un certo scalpore, tra incredulità e anche qualche dubbio. “In effetti – aggiunge una donna – ci chiedevamo come mai lo avessero relegato qui, ci sembrava strano”.
Mentre tutti parlano di lui e tutti lo cercano, don Franco invece non rilascia dichiarazioni, chiuso nelle sue stanze della canonica, le serrande delle finestre che a volte si aprono solo per controllare se i giornalisti sono ancora lì ad aspettare. La sua versione l’ha già raccontata: “Mai saputo che a San Rafael c’erano quelle cose, mai saputo e mai assistito a sessioni di tortura”. Il parroco ha dichiarato che la sua funzione era solo quella di celebrare messa, confessare, fare catechismo ai soldati. A grandi linee, gli stessi compiti che svolge anche a Sorbolo.
Pronto a giurare sull’innocenza del suo collega è anche don Montali, il parroco di Sorbolo che lo ha ospitato nella sua canonica. “Don Franco è sereno e ha già detto quello che doveva dire – risponde ai cronisti affacciandosi dalla porta della canonica – Sono sicuro che è tutta una montatura, don Franco è estraneo a quei fatti e non è colpevole. Non avrebbe mai commesso cose simili”. Ma la sua difesa non basta a cancellare le accuse che hanno portato la polizia di tutto il mondo a mettersi sulle tracce di don Franco.