Esiste un grande dilemma in medicina, unire gli interessi della comunità con quelli di tipo aziendale. La comunità ha un solo interesse, la salute, le aziende hanno anche quello di guadagnare su ciò che producono.
Innegabilmente il lavoro fatto dalle industrie farmaceutiche è fondamentale, senza di esse avremmo pochissimi strumenti per migliorare la nostra salute, come negare per esempio l’utilità degli antibiotici, degli anestetici o dell’insulina, ma è scontato che chi si occupa di salute dovrebbe fare di tutto per offrire un servizio corretto, onesto e serio. Proprio per questo una grande azienda farmaceutica ha nelle sue mani un potere enorme, può decidere come e quando sviluppare un farmaco e se commette un errore, peggio se con malafede, può causare tragedie di dimensioni colossali. Di fronte a grandi guadagni quindi, queste aziende hanno doveri precisi, trasparenza e correttezza su tutti.
Esiste un controllo, anzi due: gli organi governativi che stabiliscono leggi e regole e i medici che con il “controllo sul campo” leggono i risultati e gli eventuali effetti collaterali di un farmaco.
Tra le aziende, gli enti di controllo e gli operatori sanitari vi è una sorta di “patto di fiducia”, fino a prova contraria, se l’azienda afferma che un farmaco ha un certo effetto, gli utilizzatori (i medici come prescrittori e i pazienti come destinatari finali) si fidano. Tutto naturalmente passa al vaglio della comunità scientifica anche con gli studi scientifici, se interessano i dati o i risultati (positivi o negativi) di un esperimento, questi sono pubblicamente consultabili su riviste mediche e banche dati ed un’azienda che li nascondesse commetterebbe due scorrettezze: verso il medico che non ha modo di conoscere bene un farmaco e verso la società che dovrebbe fidarsi a occhi chiusi, proprio per questo la trasparenza da parte di un’azienda è più di un dovere.
Da qualche settimana però qualcosa si è inceppato e rischia di alterare quel rapporto di fiducia di cui parlavo. Ricordate il periodo dell’influenza aviaria? L’influenza è una malattia incurabile, fa effetto sentirlo dire ma è così: possiamo prevenirla, mitigare i sintomi ma non curarla, fortunatamente si tratta di una malattia, di solito, a decorso benigno. Alcune aziende farmaceutiche proposero l’uso di prodotti che potevano diminuire le complicanze dell’influenza. Uno di questi (la molecola si chiama oseltamivir, nome commerciale Tamiflu) fu accompagnato da studi scientifici che ne dimostravano l’efficacia e fu commercializzato ed acquistato in quantitativi enormi da diversi governi, compreso il nostro, preoccupati per la possibile epidemia influenzale.
Studi successivi mostrarono che l’efficacia mostrata dai produttori del farmaco non era così scontata e sorgevano molti dubbi sulla sua utilità, sugli effetti collaterali e sul rapporto costo beneficio, in più di fronte ad un effetto molto limitato si sospettano gravi effetti secondari con conseguenti dubbi da parte di medici ed autorità sulla reale utilità del farmaco.
A questo punto era scontato andare a controllare i dati alla fonte, rivedere le statistiche e le sperimentazioni richiedendo all’azienda la documentazione del caso. Il problema è sorto quando si è scoperto che i dati in realtà non esistevano, o meglio, l’azienda non intendeva fornirli e, dopo una promessa iniziale di disponibilità, ha ritrattato anche in maniera piuttosto brusca. Il risultato, dopo un iniziale disorientamento, è stato un dibattito accesissimo tra azienda, organismi di controllo e scienziati. La notizia che l’azienda che produce questo farmaco (la Roche) si sia irrigidita sulle sue posizioni ha indignato non poche persone.
Si sono mossi il British Medical Journal (BMJ, una delle più importanti riviste mediche al mondo), l’agenzia europea del farmaco (EMA) e numerosi scienziati, medici e divulgatori, è stato infatti Ben Goldacre, divulgatore scientifico inglese, a portare a conoscenza del grande pubblico questa vicenda che alla fine è approdata anche al parlamento inglese.
Da noi quasi il silenzio, se non fosse per Tom Jefferson, italiano componente della Cochrane, una serissima organizzazione scientifica, anche se comunque la notizia non si è diffusa fuori da certi ambienti.
La vicenda è in pieno sviluppo ma già sono stati raggiunti alcuni risultati. L’EMA ha deciso di prendere in seria considerazione il fatto che i dati in possesso delle aziende farmaceutiche, relative a molecole farmacologiche in vendita, a sperimentazioni e a pubblicazioni scientifiche, debbano essere pubblici e liberamente consultabili (probabilmente sarà una consultazione limitata agli addetti ai lavori, ma è già qualcosa). Lo stesso sostiene il BMJ: chi vorrà pubblicare da loro dovrà rendere pubblici tutti i dati che ha ottenuto dalle sperimentazioni.
A questo punto l’azienda che volesse nascondere i dati o renderli “segreti” avrà un marchio di sospetto e di non trasparenza definitivo che sarà tenuto in debito conto dalle autorità scientifiche, dai medici e dai pazienti, un’azienda che si occupa di salute e che non si fida di chi controlla infatti, non può pretendere che medici e pazienti si fidino di lei. Questa vicenda sta agitando il mondo della medicina e siamo solo all’inizio. Allora, prima che i governi o le istituzioni scientifiche prendano provvedimenti, ci possono pensare i medici ed i pazienti, primi “clienti” delle aziende: chi non applica trasparenza sarà boicottato. Poiché questa storia, come ho scritto, in Italia è poco nota, serve diffonderla soprattutto per ottenere un semplice diritto: la trasparenza sui farmaci che assumiamo.
Di fronte a questi dubbi è interessante sapere che il Tamiflu è ad oggi in vendita e la Roche non ha ancora rilasciato i suoi dati. Seguirò la vicenda (alla Roche Italia ho già scritto chiedendo informazioni ma non mi hanno nemmeno risposto) ma intanto partiamo da questo fatto: l’azienda non ha ancora consentito il controllo dei dati in proprio possesso sul farmaco. Roche, è anche un nome facile da ricordare quando si è in farmacia o quando, medici, prescriviamo medicine, ricordiamocelo, significa lottare per un diritto, di tutti.