Sarà processato Luigi Lusi, senatore ex Pd, tesoriere del partito della Margherita dalle cui casse, secondo la Procura di Roma, il politico ha drenato oltre 20 milioni di euro. Lusi, agli arresti dal 21 giugno scorso (prima in carcere poi ai domiciliari in un convento in Abruzzo, ndr) è accusato di essersi appropriato di oltre 23 milioni di euro dalle casse del partito. Il processo inizierà il 25 febbraio prossimo. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma, Maria Bonaventura, che ha anche condannato la moglie, Giovanna Petricone, a un anno di reclusione.
La richiesta di patteggiamento della pena a un anno era stata formulata nella precedente udienza con il parere favorevole della procura. Il gup ha disposto il processo anche per i commercialisti Mario Montecchia e Giovanni Sebastio, e per la segretaria, Diana Ferri, prestanome di una società risultata riconducibile allo stesso senatore. Per tutti il reato contestato è quello di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. Lusi in attesa del processo resta agli arresti domiciliari nel monastero Santa Maria dei Bisognosi. Il senatore deve rispondere anche di calunnia nei confronti di Francesco Rutelli, per aver sostenuto di aver sempre agito nella gestione del denaro con un accordo fiduciario. Rutelli e la Margherita sono stati ammessi nel procedimento come parte civile.
Il 20 giugno scorso il Senato aveva votato il sì all’arresto, a poco più di un mese di distanza dalla notifica dell’ordinanza di custodia cautelare firmata da giudice per le indagini preliminari di Roma. Nell’ordine di cattura il giudice Simonetta d’Alessandro aveva definito Lusi come il “capo di un clan”. Secondo il giudice il senatore doveva essere arrestato non solo perché aveva rubato, mentito, ma anche perché aveva prodotto un effetto “devastante” sulla democrazia con il suo comportamento, avvantaggiato dalla moglie, dai collaboratori, dai commercialisti. “Lo spoglio è stato operato dal Lusi in un quadro associativo, e – argomentava il giudice nell’ordine di cattura – non poteva essere diversamente, attesa l’entità delle somme e l’intuibile necessarietà di complicità interne, anche tecniche. Quadro associativo che non si identifica nel partito, ma che ha operato in danno del partito”. Per il magistrato: “La manomissione del pluralismo dei partiti è, sul piano ontologico, l’anticamera della svolta totalitaria”.
Il denaro rubato sarebbe stato trasferito, secondo il pm Stefano Pesci, a due società del parlamentare, la “Ttt srl” e la “Paradiso Immobiliare”, tramite le quali successivamente furono acquistati diversi immobili tra i quali un appartamento in via Monserrato, nel centro di Roma, una villa a Genzano nella zona dei Castelli Romani in cui viveva la famiglia Lusi e cinque appartamenti a Capistrello (L’Aquila). L’inchiesta era partita grazie a una segnalazione della Banca d’Italia che indicava un’anomalia dietro l’acquisto del lussuoso appartamento romano, a poco più di un chilometro da piazza Navona.