Il Cavaliere promette l'abolizione dell'imposta sulla prima casa, ma si volta e trova quasi il deserto. Quagliariello: "Dove prende i soldi?". Il partito va in ordine sparso. Lupi insiste: "Voglio Monti". Bondi: "Dobbiamo opporci al Professore". Crosetto: "Non voglio più stare con i pagliacci". E' finito il tempo dei fedelissimi
Pronti a tutto. Fino a votare, 315 come fossero stati un sol uomo, che, sì, Silvio Berlusconi credeva davvero che Ruby fosse la nipote di Mubarak. Data simbolica – era il 3 febbraio 2011 – che fece coincidere il punto di più ferrea (e cieca) fedeltà del Pdl (insieme al resto del centrodestra) e quello tra i punti più bassi raggiunti dal Parlamento. Poco meno di due anni sembrano ora come cinquanta: i pidiellini guardano altrove, guardano oltre, in ogni caso non si curano più di colui che ha sempre deciso tutto, fino all’ultimo, fino alle primarie prima annunciate e poi lavate via con un colpo di spugna (e insieme alle primarie anche un bel pezzo dell’autorevolezza del segretario Angelino Alfano).
Quel giorno c’erano tutti. I banchi del governo traboccavano e Giorgia Meloni, allora ministro, dovette votare dal seggio di deputato. A quella votazione partecipò anche Crosetto. C’era anche il titolare della Farnesina, Franco Frattini, che si trovava al fianco di Michela Vittoria Brambilla, per l’occasione tronfia al posto del presidente (assente). Berlusconi “ha poco da temere – dirà con sicumera qualche giorno dopo Maurizio Lupi – perché anche questa volta tutto finirà in una bolla di sapone. Per questo dobbiamo continuare a percorrere con convinzione la strada delle riforme”. Un mese dopo Gaetano Quagliariello firmava un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia (Alfano) perché mandasse gli ispettori alla Procura di Milano. Il processo arriverà a sentenza a febbraio.
Di tutto questo restano i ricordi sbiaditi. Come della legge sul conflitto di interessi (2004) di Franco Frattini, che per molti non ha risolto alcun conflitto. “A questo punto non si possono più tenere le primarie del Pdl il 16 dicembre” dichiarava solenne il 28 novembre Lupi a Porta a Porta. A cambiare il quadro, diceva, è stato l’annuncio di “Lui” di voler tornare in campo. Nessuno, comunque, aveva alcun dubbio sulla statura dell’uomo: “Credo che Berlusconi sarà ancora il leader naturale di una grande coalizione di moderati ancorati ai valori della tradizione nazionale” vaticinava l’ex craxiano Maurizio Sacconi, il 14 novembre 2011, due giorni dopo le dimissioni del capo del governo ottenute dopo settimane dal Colle e da tutta Europa. Per non parlare di Isabella Bertolini, una proto-Cicchitto per il record di dispacci dati alle agenzie nel secondo governo B. Dopo una sfida tv per la campagna elettorale 2006 parlava così del leader: “Il premier da alto statista, ha rinunciato alla conferenza stampa finale, per informare doverosamente gli italiani su quanto fatto dal Governo. Un atto di profonda generosità e nobiltà. Prodi faccia il piacere, non parli di regole, lui che le calpesta quotidianamente. E’ lui il liberticida. Ora vedremo come farà a coprire lo sbando della sua coalizione, la sua totale nullità. Il premier Berlusconi lo farà nero”. Infatti perse. E dopo qualche anno, in ogni caso, tutto sembra essere finito nel nulla.
Ora però tutto cambia, si rovescia. Anche i fedelissimi diventano un po’ meno fedelissimi e forse neanche più fedeli. E il fenomeno diventa lampante proprio sull’icona della “battaglia politica” del centrodestra berlusconiano: il taglio delle tasse. Anzi, di più: proprio su quell’Imu che è erede dell’Ici. Un totem: l’annuncio dell’eliminazione dell’imposta sulla casa per molti fu all’origine dello strabiliante recupero che portò il Cavaliere (già settantenne) al quasi pareggio del 2006 (che portò Prodi a Palazzo Chigi per meno di due anni): “Avete capito bene – vendemmiò il Cavaliere nel confronto tv, puntando l’indice contro la telecamera – aboliremo l’Ici su tutte le prime case”.
E ora rieccoci: abolire l’Imu? “Se si fa quella proposta, bisogna anche individuare le spese da tagliare o altri modi per compensare quella perdita di gettito”. Chi lo dice: Bersani? Casini? Monti? No, il vicecapogruppo al Senato del Pdl Gaetano Quagliariello. “Ovviamente la tassa sulla prima casa è odiosa – chiarisce alla Stampa – ma in questa delicata situazione chi fa una proposta del genere deve corredarla con l’indicazione di alternative per raggiungere quegli effetti che l’Imu ha prodotto, insomma per trovare le coperture”. Il Pdl sembra riscoprire sul serio la libertà che porta nel nome e si affaccia perfino una critica al fondatore inattaccabile che ha rispolverato i vecchi arnesi del mestiere nel monologo tenuto sulla sua televisione davanti a una Barbara D’Urso di sale. La verità è che a quanto pare le sicurezze iniziano a scricchiolare anche tra chi sembrava avere una fiducia indissolubile. Fiducia nella propria rielezione, oltre che nelle proprie scelte politiche.
Se il senatore Quagliariello non auspica apertamente l’ingresso in politica di Mario Monti, c’è chi – tra quelli presenti all’assemblea di Italia Popolare organizzata ieri mentre Berlusconi comiziava in tv – porta l’assalto da schermidore: “La candidatura di Berlusconi – parla chiaro Franco Frattini, già considerato “dissidente” (!) da mesi – farebbe venir meno l’unità dei moderati italiani e questo condannerebbe quel campo ad una sconfitta”. “Se Monti sarà in campo, la strada è tracciata – sottolinea l’ex ministro degli Esteri intervistato dal Messaggero – In caso contrario, per il centrodestra sarà una sorta di tsunami. Il nostro obiettivo deve essere quello di creare il campo dei Popolari italiani, ispirato al Ppe. Questo campo non può avere Berlusconi come federatore perché chi dovrebbe federarsi con lui non è d’accordo”. E arriva un altro jab al presidente del partito sulla questione dell’Imu. “Certamente – rileva Frattini – l’abolizione dell’Imu, almeno per la prima casa, è una cosa che oggettivamente gli italiani apprezzerebbero. Però che si possa o meno fare non può dipendere da un annuncio: servono delle spiegazioni che ancora non vedo. A partire dalla principale: dov’è la copertura finanziaria?”.
Tutto questo equivale a fotografare, una volta di più, un Pdl a pezzi: solo Monti potrebbe essere l’unico mastice per ricomporre i cocci. Da qui il pressing dell’area di Comunione e Liberazione: “Se dovessimo fare da noi, ciascuno non sceglierebbe l’altro – spiega al Corriere della Sera il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi – Questa è la grande occasione che ha il professor Mario Monti, solo lui può rimettere insieme tutti i moderati”. E si danna Lupi, ora, per quell’astensione strepitata al Senato e alla Camera con le facce arrossate di Gasparri prima, Cicchitto poi, Alfano infine: “Col senno di poi – dice Lupi – l’astensione che voleva segnalare una presa di distanze non su Monti, ma su alcune proposte del suo governo, forse andava evitata. Forse avremmo dovuto arrivare alla scadenza naturale, perché questo fatto potrebbe rivelarsi un inciampo sul percorso di questo nuovo polo”. Macché: “Tutte le iniziative per la nascita di nuovi partiti nel centro-destra sono velleitarie e controproducenti, così come altrettanto sbagliate sono la demonizzazione o la mitizzazione di Mario Monti”.
A proposito di Pdl a pezzi, proprio la candidatura eventuale del presidente del Consiglio è il motivo per cui gli orfani delle primarie del partito agognate e poi volatilizzate si sono ritrovati su un palco diverso ad annunciare: né con Berlusconi né con Monti. Giorgia Meloni ventila quasi la scissione: “Stiamo aspettando ancora delle risposte, se non arriveranno nelle prossime ore faremo le nostre scelte”. Ieri mentre coloro che si sono improvvisamente riscoperti filomontiani si sono trovati con Italia Popolare l’ex ministro proveniente da An ha organizzato “Le primarie delle idee” con Guido Crosetto. E di Monti dice: “Non ho capito cosa farà, ma mi sembra sia entrato molto bene nel teatrino della politica. Prima dice mi candido, poi non mi candido, forse faccio una lista mia, forse no, non mi candido, ma sono disposto a governare che è un’altra tesi curiosa che il professore ogni tanto sostiene”. Comunque vada, per l’ex ministro “Monti ha dato più volte l’impressione di considerare la democrazia una cosa un po’ così… paesana, nella quale non vale la pena mescolarsi”.
E da Crosetto arriva un’altra bordata al suo partito: “Mentre non mi trovo male in compagnia della Meloni – afferma ad Agorà, su Rai Tre – non starei in un Pdl che dal mattino alla sera fa cadere Monti, poi invece è per Monti. Con i pagliacci non riesco a stare. Sarà anche vincente politicamente ma a me non interessa andare a dire ‘evviva Monti’ quando ne ho contestato la politica economica nell’ultimo anno”. E’ da segnalare che dalla loro Crosetto e Meloni possono vantare il fatto che sono stati sempre dalla stessa parte fin dall’inizio, cioè all’opposizione – “disciplinata” – del governo Monti (l’ex sottosegretario non ha mai votato un provvedimento economico dell’esecutivo).
In tale contesto diventa anche difficile avere un minimo di bussola. Perché Sandro Bondi, spesso più berlusconiano di Berlusconi, dichiara: “Il centrodestra in Italia potrà riconquistare la fiducia dei propri elettori se saprà opporre a Monti e alla sinistra un programma credibile di ripresa dello sviluppo economico, di superamento delle diseguaglianze sociali più marcate, un programma fondato sulla libertà della persona e della società civile”.
Dello statista della Bertolini, nel frattempo, che è rimasto? “Non è possibile equiparare, come se fossero equivalenti, la candidatura di Mario Monti con quella di Berlusconi. Come diciamo da tempo il presidente del Consiglio è l’unica opzione possibile e credibile per dare una casa, con fondamenta forti, ai moderati italiani” dice, oggi, la stessa Bertolini. E il grande leader “naturale” che giusto un anno fa si parava davanti agli occhi di Sacconi? E’ un altro: “Monti è il nuovo De Gasperi”.