Quando dico che odio il Natale, i miei amici cattocomunisti (ne ho a bizzeffe), giusto per non contraddirmi, ammettono che ormai è diventato una festa pagana, un rituale consumistico, e via luogocomunisteggiando. Ora, a parte che il Natale è sempre stato una festa pagana, la festa cristiana è la Pasqua, in realtà il consumismo sarebbe una delle poche cose belle delle feste: sarebbe, dico, se un ventennio di berlusconismo, completato da un anno di rigorismo, non ci avesse portato ufficialmente alla canna del gas. Persino i regali, questa turpe usanza consumistica, sarebbero un cosa bellissima, un sacrificio nel senso del sacrum facere pagano: sarebbero, se solo potessimo permetterceli.
Tutti voi, ovviamente, conoscete a menadito il Saggio sul dono (1923 -1924) di Marcel Mauss: ma oserò farvene un rapido sunto. Intere culture che stupidamente riteniamo primitive solo perché abitano paradisi incontaminati, invece dell’hinterland milanese, basano la loro economia sul dono. Invece di tirare a fregarsi l’un l’altro come facciamo noi, cioè, si scambiano regali tutto l’anno, e non solo durante le feste; se poi dedichino le feste a truffarsi a vicenda, non foss’altro per cambiare, questo Mauss lo lascia deplorevolmente nel vago. Comunque sia, almeno da questo esotico punto di vista anche i nostri regali di Natale più idioti vanno considerati un’isola di gratuità in una vita ormai scandita dalle leggi bronzee del capitalismo.
E guardatevi bene dal pensare che gli indigeni delle isole Trobriand, l’esempio più noto di economia del dono, siano dei pirla, come starete sicuramente pensando. Mica si fanno regali perché si amano, come ci raccontiamo noi. Al contrario, lo fanno apertamente per i nostri stessi scopi più o meno abbietti: fare bella figura con i vicini, rinsaldare legami familiari vacillanti, e soprattutto obbligare chi riceve il dono a contraccambiare con regali ancora più vistosi. Fra l’altro, cosa che ce lo rende ancora più simpatico, questo sistema può produrre effetti ben più catastrofici del capitalismo: ognuno s’indebita per fare regali inutili, sperperando le risorse proprie, della comunità e dell’ambiente.
A questo punto, come prima o poi avviene sempre, qualcuno comincerà a sospettare che quest’elogio del consumismo natalizio sia ironico e che anch’io, in realtà, sia un becero cattocomunista. Su questo vorrei rassicurare i miei 363 follower 363, come direbbe Shooter hates you, di cui fra parentesi ricambio l’odio: ritengo seriamente l’economia del dono un’alternativa al capitalismo, sia pure solo sotto le feste e con alcuni correttivi. Ad esempio, basta smetterla di regalare agli altri quello che vorreste ricevere voi, tipo l’Ipad che l’anno scorso ho regalato a mia moglie al solo scopo di rubarglielo per scrivere questi post demenziali: regalatevelo direttamente, senza infingimenti. Se poi qualcuno volesse regalarmi qualcosa, lo faccia pure, non mi offendo: purché rientri nello spirito del dono e dunque sia ipocrita, inutile e spaventosamente costoso.