Il metodo tradizionale, basato sulla mente solo analitica e sulla frammentazione dell’esperienza della realtà, sui contenuti più che sui processi, è limitato, se non negativo.
Giacomin insegna la soggettività della percezione, senza negare la realtà esterna. Insegna a osservare la mente, per capire come funzioniamo. Insegna l’interdipendenza di tutti fenomeni. Una collega, Lugina de Biasi, collabora con lui, dall’inizio. Naturalmente nella scuola pubblica italiana incontrano resistenze da parte di qualche genitore e qualche direttore scolastico, ma i risultati parlano: i suoi studenti sono bravi nelle materie curriculari e sono anche più sereni e profondi.
Nel 1986 Valentino Giacomin si trasferisce a Sarnath, città sacra per i buddisti e i gianisti, compra con la liquidazione un pezzetto di terra e ci costruisce un paio di aule. Per sei mesi forma dei maestri secondo il suo metodo. All’ inizio vengono i figli dei contadini del villaggio, che non potrebbero permettersi di pagare le rette delle scuole, sono circa sessanta. Sedici anni dopo la scuola di Sarnath ha novecento allievi. Utilizza tecniche meditative, lo yoga, propone ai bambini domande filosofiche, li guida nello sviluppo della capacità introspettiva, del controllo delle emozioni: mutua tecniche e concetti dalla psicologia analitica, dalla scienza della mente buddista, dalla psicosintesi. Giacomin inventa storie “pedagogiche” illustrate, propone esercizi semplici e geniali: i bambini arrivano a scuola e mettono in un cestino una pallina bianca se tutto va bene, una nera se sono tristi o arrabbiati: e poi ci si lavora.
Non è stato un cammino rose e fiori. Politicanti locali hanno cercato di prendersi la scuola e i terreni, e hanno aizzato i paesani per un diritto di passo: vederseli arrivare coi forconi al cancello, minacciando di distruggere la scuola, non è stato uno scherzo. Gli stessi che poi chiedevano di accogliere i loro figli.
Lo straniero, anche se fa lavoro sociale, è sempre a rischio: il rinnovo del visto è una perenne spada di Damocle. Ci sono i riconoscimenti della prestigiosa università di Varanasi, che gli ha conferito due premi per la qualità del suo metodo innovativo; una ricerca della facoltà di psicologia mostra la superiorità degli studenti di Alice, anche sui ragazzi italiani: maggiore capacità di attenzione; buona memoria; più consapevolezza e tolleranza; non manifestano problemi di disciplina, socializzazione e bullismo. La scuola viene invitata ai convegni internazionali, altre scuole chiedono i suoi insegnanti per applicare il metodo, usano i libri scritti da Giacomin. Eppure le difficoltà sono continue, a cominciare da quelle economiche. La scuola vive di donazioni, in Italia coordina la raccolta per il progetto Alice Luigina de Biasi (luiginadebiasi@libero.it). Io la visito per la quarta volta in sei anni, e faccio dei brevi corsi di psicosintesi e di scrittura creativa: gli studenti sono svegli, gentili e mostrano un rispetto a cui non siamo certo abituati. Lo dico da ex insegnante. Non ci sono episodi di bullismo e violenza, come accade anche nelle scuole indiane. I primi allievi, entrati sedici anni fa, vanno all’Università, insegnano ai più piccoli. Magari le ragazze che si sposano e smettono di studiare (in India succede molto spesso) saranno madri diverse, passeranno ai figli una visione del mondo più ricca, e basata fortemente anche sulle tradizioni indiane. La scuola comincia al mattino con preghiere di ogni religione, Valentino è buddista, ma il novanta per cento degli allievi sono induisti, e ci sono anche dei musulmani. I simboli di tutte le religioni sono presenti fin dalla porta d’ingresso.
Il sacro in tutte le sue manifestazioni, così si insegna il rispetto per la religione dell’altro e magari si eviteranno le stragi in nome di qualche dio.
La Montessori ha vissuto a lungo in India, e lasciato molte scuole. Per me Giacomin è la Montessori di questo secolo e il suo metodo una sintesi pedagogica geniale tra oriente e occidente.