Le deroghe per gli “elefanti” saranno dieci: con il loro carico di anni di legislatura dovranno comunque conquistarsi un posto in lista attraverso le primarie. Nel listino bloccato degli “esenti” ci saranno molte figure della società civile, ma anche molti politici: il numero dei “nominati” che potrebbero finire in Parlamento senza passare dall’esame della base del partito potrebbe arrivare intorno a quota 100. I nomi di chi comporrà questo listino saranno scelti, nella grande maggioranza, dallo stesso segretario Pier Luigi Bersani. Sono in ogni caso prove di democrazia dal basso per contrastare il Porcellum (che non voleva nessuno e che è sempre lì) e far partecipare davvero l’elettorato nella composizione di una parte di coloro che andranno a sedersi a Montecitorio e a Palazzo Madama.. “Parlamentarie” con seggi e croci sulle schede, mentre il centrodestra deve ancora decidere coalizione, alleanze, leader e forse anche linea politica (visto che c’è chi rivuole Berlusconi e chi stravede Monti) e il centro ha come obiettivo arrivarci, in Parlamento.
Date e regole
Si voterà il 29 e 30 dicembre (a seconda delle regioni) e avranno diritto ad esprimere la propria preferenza tutti gli iscritti al partito, chi ha votato alle primarie per la scelta del candidato premier, ma anche quanti non avevano rinnovato la tessera e decideranno di farlo. Ma, a differenza di quanto detto in un primo momento, gli elettori democratici che torneranno ai gazebo dovranno versare due euro per votare. Alla direzione nazionale del partito hanno preso parte tutti i pezzi da novanta del Pd e tra questi anche Matteo Renzi (accolto con applausi al pari di Laura Puppato).
Chi non è parlamentare uscente, per partecipare alle primarie dovrà raccogliere firme pari al 5 per cento degli iscritti su base provinciale (con una forbice minimo-massimo di 50-500 firme) o essere scelta nella rosa a disposizione delle direzioni provinciali riservata a personalità della società civile. La riunione delle Direzioni provinciali per la decisione definitiva sulle candidature, invece, è fissata per sabato prossimo. Questo significa che i candidati avranno pochissimi giorni per raccogliere le firme (il 5% degli iscritti delle circoscrizioni). A questo proposito, la bozza prevede che i parlamentari per candidarsi non dovranno raccogliere le firme.
Per “tutelare” la parità di genere, inoltre, è prevista la doppia preferenza uomo/donna con l’obbligo di garantire almeno il 33 per cento della presenza femminile nelle liste. Non potranno candidarsi, invece, salvo deroga concessa dal partito, gli europarlamentari, i sindaci di città superiori a 5mila abitanti, assessori e consiglieri regionali, i presidenti di Regioni e Province. Non potranno correre neppure i presidenti dei municipi.
Il listino bloccato per i “notabili”
I candidati in tutto saranno 935, 47 saranno capilista. Molti di questi ultimi non passeranno dalle primarie, ma saranno indicati da Bersani. Altri 90 circa (dal Pd hanno detto che saranno il 10 per cento del totale dei candidati) salteranno le consultazioni di fine dicembre e saranno inseriti direttamente nelle liste elettorali. I nomi di questi “notabili” saranno decisi sulla base di “criteri di competenza e apertura alla società civile”. Anche in questo caso sarà il segretario a indicarli, ma ci sarà una quota parte per le varie “aree”, quella di Renzi in testa.
Per quanto riguarda la società civile si fanno i nomi del politologo e storico Carlo Galli, del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, del giurista Luciano Vandelli, del direttore dell’Unità Claudio Sardo, lo storico Miguel Gotor, l’ex sindacalista Guglielmo Epifani, ma anche (dati in quota Renzi) lo scrittore Giuliano Da Empoli e un altro costituzionalista, Francesco Clementi. Ma in questo elenco ci sarà anche molta politica. Bersani vorrebbe candidare infatti la segreteria in blocco: la macchina organizzativa del partito (Nico Stumpo e Maurizio Migliavacca), poi Stella Bianchi, Roberta Agostini, Cecilia Carmassi, Stefano Fassina, Ettore Martinelli, Matteo Mauri, Marco Meloni, Matteo Orfini, Annamaria Parente, Francesca Puglisi e Davide Zoggia. Ma Bersani vorrebbe anche i giovani che hanno portato avanti la sua campagna per le primarie: Alessandra Moretti, Tommaso Giuntella e Roberto Speranza. Poi alcuni segretari regionali del partito (il campano Enzo Amendola tra i favoriti, oltre allo stesso Speranza, lucano). E poi ancora qualcuno dei vertici: per esempio Enrico Letta da una parte (del segretario), Ivan Scalfarotto dall’altra (del sindaco di Firenze).
In realtà qualcuno di questi ha già annunciato di rinunciare al “privilegio” e di volersi misurare con le primarie: Orfini e Fassina, per esempio, ma anche il responsabile Giustizia Andrea Orlando.
Gli esclusi
Ma oltre a quelli che ci sono, come sottolinea il Corriere della Sera, ci sono anche quelli che non ci sono e che potrebbero avere difficoltà a raggiungere il traguardo del seggio. I nomi sono importanti: “l’anti-Ilva” Roberto Della Seta, gli altri ambientalisti Ermete Realacci e Francesco Ferrante, ma anche la paladina dei diritti civili Anna Paola Concia, il giurista Stefano Ceccanti. Poi il contrappasso: Roberto Giachetti, che ha portato avanti quasi 90 giorni di sciopero della fame per spingere i partiti a cambiare la legge elettorale in Parlamento, potrebbe essere una delle vittime del Porcellum. Rappresentano “interessi diffusi” (l’ambiente, i diritti civili), ma non possono far pesare “le tessere”.
Le 10 deroghe per i “rottamabili”
I “rottamabili” che hanno chiesto e ottenuto le deroghe (senza spaccature) sono stati 10: Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Cesare Marini, Franco Marini, Giorgio Merlo, Giuseppe Lumia, Mauro Agostini, Maria Pia Garavaglia, Beppe Fioroni e Gianclaudio Bressa. La capogruppo al Senato fino ad alcuni giorni aveva detto che non avrebbe chiesto il “lasciapassare”, ma sarebbe stato lo stesso Bersani a spingerla a questa decisione. Molti coloro che invece hanno rinunciato, anche se alcuni di loro lo avevano annunciato già alcune settimane fa: oltre a D’Alema, Veltroni e Parisi, non ci saranno Livia Turco, Anna Serafini, Mimmo Lucà, Marco Follini, Pierluigi Castagnetti, Enrico Morando e Tiziano Treu (alcuni di loro sono stati potenti ministri nei governi dell’Ulivo e dell’Unione). Ma anche il “renziano” (anche se pare riduttivo) Pietro Ichino.