Neve, scioperi e guasti informatici sono le ultime calamità in ordine di tempo che si sono abbattute sui pendolari italiani. Questi eventi hanno catalizzato l’attenzione dei media che, una volta tanto, hanno deciso di interessarsi delle vicende di quegli oltre 2,8 milioni di cittadini italiani che quotidianamente usano i treni per recarsi al lavoro.
Viaggiano su carrozze perennemente sporche e sovraffollate, fanno i conti con servizi sempre più scadenti e in perenne ritardo ma, nonostante questo, negli ultimi due anni hanno visto aumentare i prezzi dei biglietti del 18%, a fronte di un taglio medio dei servizi regionali al trasporto pubblico del 10%.
Oggi, ciliegina sulla torta, è stato pubblicato il rapporto Pendolaria di Legambiente che ha presentato la fotografia di un paese sempre più paralizzato dal traffico e dalla cronica mancanza di fondi destinati al trasporto pubblico. Pendolaria non fa che confermare (caso mai ce ne fosse ulteriormente bisogno) che esistono cittadini di serie A e i cittadini di serie B.
Eppure questi 2,8 milioni di cittadini di serie B, oltre a essere coloro da cui dipende buona parte dell’economia nazionale, godono del diritto di voto. A conti fatti, questi 2,8 milioni di persone rappresentano circa il 6% del bacino elettorale italiano, ovvero una percentuale di voti sufficientemente ampia da fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta alle prossime elezioni, tra stare dentro o fuori dal parlamento.
Come se non bastasse, complice la crisi che costringe gli italiani a lasciare a casa l’auto sempre più spesso e a trovare forme di mobilità più a buon mercato, questo 6% rappresenta una percentuale in continua espansione.
In Italia però, nonostante la moltitudine di partiti e movimenti che si presenteranno alle prossime elezioni (politiche e regionali), ancora nessuno ha presentato un programma credibile in materia di trasporti e di mobilità. Probabilmente i geni asserragliati all’interno delle sezioni di partito ritengono che la mobilità sia una questione accessoria della politica nazionale, che ci siano questioni di maggior rilievo su cui concentrarsi (tipo il rilancio dell’economia), eppure basterebbe farsi un giro sulla Circumvesuviana o sulla Roma-Lido e fare due chiacchiere con chi ci viaggia abitualmente per capire che non ci può essere nessun rilancio dell’economia se milioni di persone iniziano la propria giornata lavorativa già sfibrati dal tragitto casa-lavoro.
Per conquistare milioni di voti, a un partito con un minimo di presentabilità (e questo poi è il vero problema) basterebbe inserire nel proprio programma 4 punti su cui incentrare la propria campagna elettorale e su cui impegnarsi seriamente a lavorare nel corso dei primi 100 giorni di governo. Una bozza potrebbe essere questa:
Questi quattro punti non solo andrebbero a vantaggio dei pendolari, ma di tutta l’Italia: costruire una rete di infrastrutture leggere destinate al trasporto pubblico locale con i finanziamenti destinati alle grandi opere sarebbe un modo per creare occupazione e ridistribuzione del reddito, certo si farebbe torto ai soliti grandi gruppi industriali che hanno proliferato dallo sventramento dell’Italia, si toglierebbe parte del terreno fertile alle mafie che proliferano nella costruzione di grandi infrastrutture, si scontenterebbero quei loschi individui che vivono delle mazzette necessarie a occultare i vari disastri ambientali che accompagnano i grandi progetti, ma la coperta è sempre più corta e non si può accontentare tutti.
Come disse qualcuno: “Un Paese è sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette.”