La manifestazione di sabato scorso a piazza Farnese promossa dalle Agende Rosse a cui ha collaborato Il Fatto Quotidiano e con l’adesione di diverse associazioni, tra cui Liberacittadinanza, non voleva essere contro nessuno, come ha detto in modo chiarissimo Aldo Busi.
I cittadini che hanno impiegato un sabato di ordinario shopping natalizio per testimoniare il loro impegno per la ricerca della verità sulla stagione di sangue e misteri su cui poggia la cosiddetta Seconda Repubblica, hanno sfidato la pioggia e la congiura del silenzio solo in nome della trasparenza e dei principi costituzionali.
Le tappe del tormentato slalom a cui è stata sottoposta l’inchiesta sulla trattativa o per meglio dire trattative che hanno avuto per protagonisti uomini di primissimo piano delle istituzioni, verosimilmente molti di più di quelli rimasti “impigliati” nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura di Palermo, sono ormai ampiamente note.
Da ultima è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato e senza precedenti nella storia della Repubblica: un responso purtroppo annunciato dall’inizio, come aveva a suo tempo segnalato Gustavo Zagrebelsky, che può tutt’al più stupire solo per l’ apparente incongruità rispetto al caso della norma su cui si fonda il verdetto.
La Corte ha infatti avallato la richiesta di distruzione immediata delle intercettazioni delle telefonate intercorse tra Nicola Mancino, imputato per false dichiarazioni ai Pm e Giorgio Napolitano, con riferimento al “divieto di utilizzazione” previsto dall’art. 271 c.p.p. comma 3.
E ha ritenuto senza ombra di dubbio che i Pm “non potessero omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione di intercettazioni ritenute illegittime”, evidentemente a prescindere, e con “modalità idonee ad assicurarne la segretezza del contenuto“; dunque con assoluta esclusione del contraddittorio tra le parti.
Quanto risulti di ardua applicazione la sentenza della Consulta, al di là di valutazioni di merito, è confermato dalla problematicità dell’attuazione concreta, tanto che viene ipotizzato da Alessandro Pace , e altri autorevoli costituzionalisti, che a sua volta il Gip potrebbe rivolgersi ai supremi giudici per avere lumi su come procedere alla distruzione.
Personalmente il rispetto per la Corte Costituzinale mi ha indotto a non commentare a caldo la sentanza e attendo le motivazioni prima di esprimere critiche o giudizi definitivi.
Ma altra cosa dal doveroso rispetto per le sentenze, soprattutto quando provengono dalla Consulta, è la pretesa di avere in primo luogo come cittadini delle risposte non contraddittorie o palesemente depistanti su fatti di inaudita gravità da parte di uomini che erano al vertici delle istituzioni e che invece di contribuire alla verità storica prima che processuale sul biennio delle stragi del 92/93, si sono aggrappati alle pagine bianche delle loro agende e poi quando l’inchiesta ha continuato il suo corso, nonostante i depistaggi, si sono attaccati al telefono del Quirinale, dove hanno trovato udienza e collaborazione.
Come ha sottolineato Marco Travaglio dal palco di piazza Farnese il rapporto inconfessabile, al di là delle intenzioni, che si è saldato in quegli anni tra lo Stato e Cosa Nostra a favore unicamente della seconda e che ha comportato l’accelerazione dell’annientamento di chi oha osato mettersi di traverso come Paolo Borsellino, ormai ci è noto.
E ci sono noti anche i nomi dei beneficiati politici della trattativa, quelli che hanno salvato la vita ed in molti casi le interminabili carriere politiche sul sangue di un magistrato incompatibile con lo spirito e la pratica della trattativa.
Perciò al di là delle sorti e dell’esito del processo, di cui per ora sappiamo che nonostante tutte le manovre messe in atto dagli imputati “istituzionali” sarà a Palermo, nessun potere può più privarci della consapevolezza a cui siamo arrivati grazie ad una inchiesta che non doveva iniziare e che tanto meno doveva vedere la conclusione con le richieste di rinvio a giudizio per gli intoccabili.
Il conflitto di attribuzioni, come ha detto Antonio Padellaro dal palco di piazza Farnese, ha reso il futuro peraltro non scontato di questo processo ancora più “nebuloso”, così come il totale silenzio della grande informazione sull’iniziativa a sostegno dei magistrati di Palermo ed il clamore mediatico sulla “vittoria di Napolitano” danno la precisa misura del clima in cui potrà svolgersi.
Tutte buone ragioni per essere orgogliosi di aver vissuto un sabato da cittadini.