Padre Ugo Sartorio, a capo della redazione del "Messaggero di Sant'Antonio", è stato sospeso dall'Ordine dopo che un cronista aveva scoperto che le inserzioni "camuffate" da articoli con la sua firma. A pagare (profumatamente) erano state la Cisl e le Regioni Veneto, Piemonte e Abruzzo
“Lo depose in una mangiatoia: ecco il luogo dove Dio ci attende per essere incontrato”. Nel suo ultimo editoriale sul Messaggero di sant’Antonio padre Ugo Sartorio, direttore del mensile dei frati della Basilica di Padova, sospeso una settimana fa per pubblicità ingannevole, prepara i fedeli alle feste ricordando la carità cristiana. Eppure la carità cristiana non era esattamente il clima che ha respirato in redazione un giornalista che ad inizio anno si è visto arrivare una lettera di licenziamento proprio da Sartorio. Motivo? Aveva scoperto che il suo direttore aveva usato il suo nome per firmare inserzioni a pagamento “camuffate” da articoli.
Il tutto mentre il cronista si trovava a casa per malattia. Il 45enne portò le prove all’Ordine dei giornalisti e da quel momento cominciò il suo calvario. A portare alla luce il caso è stato il senatore del Idv Luigi Li Gotti (membro della commissione Giustizia al Senato), che ha presentato un’interrogazione urgente al ministro Paola Severino chiedendo conto di quel licenziamento ingiusto avallato anche dalla decisione di un giudice del lavoro. Ma non finisce qui. Nell’istruttoria presentata all’ordine dei giornalisti emerge inoltre che a finanziare quelle inserzioni a pagamento c’erano enti pubblici: Regioni Veneto, Piemonte e Abruzzo e la Cisl.
Insomma, alle porte del Natale questa vicenda fatta di ripicche e gran giro di soldi (pubblici) non rende onore ai frati della Basilica del Santo, da secoli custodi della fede e delle preghiere di milioni di persone in tutto il mondo. Per quanto riguarda i finanziamenti dalle regioni, stando agli atti, padre Sartorio stipulava con gli enti pubblici pacchetti da 20mila euro l’uno, che includevano sei “uscite” sul giornale e otto passaggi radiofonici. Come esempio di contratto è stato riportato quello proposto alla Regione Sicilia (che non ha firmato): “Possiamo garantire almeno sei pagine redazionali (con articoli e foto) sulle attività della Regione e delle varie Associazioni rivolte ai siciliani all’estero. I testi già elaborati con le foto saranno forniti dall’ufficio stampa della Regione o dagli uffici dell’assessorato competente alla nostra redazione 50 giorni prima del mese previsto per l’uscita”.
Per quanto riguarda la Regione Veneto, negli anni presi in esame (2006-2010), l’assessorato ai flussi migratori al tempo guidato dall’assessore Psi (ora Pdl) Oscar de Bona stanziò 420mila euro per il comparto informazione, al fine di “promuovere iniziative a favore dei veneti nel mondo”. Nel capitolo di spesa si prevedeva il sostegno agli abbonamenti della rivista Quattro Ciacoe, Messaggero di sant’Antonio – Edizioni per l’Estero, “nonché il rinnovo della convenzione già in atto con il Messaggero di Sant’Antonio nel mensile “sezione italiani nel mondo’ e per l’edizione di “Incontri”, trasmissione per le radio etniche all’estero che assicura spazi per l’informazione regionale.
Parte di quei 420mila euro sono quindi finiti alla pubblicità nel mensile. “Vorremmo capire che tipo di ‘report’ aveva la Regione su quegli articoli – commenta ora il consigliere regionale dell’Idv Antonino Pipitone – se è vero che la Regione comprava un prodotto, ovvero l’inserzione pubblicitaria, è anche vero che qualcuno doveva controllare che quell’inserzione uscisse davvero, ma qui l’inserzione non c’è, ci sono solo degli articoli e delle interviste firmate da giornalisti”. Certo che non è compito della Regione vigilare sulla deontologia del giornalista (che deve sempre rendere riconoscibile l’informazione dalla pubblicità), ma in questo caso il prodotto acquistato, di fatto non c’è. L’attuale assessore ai flussi migratori il leghista Daniele Stival, ha ridotto drasticamente da quest’anno le pubblicità al Messaggero, per il quale sono stati stanziati 5mila euro (e che percepisce quota dei finanziamenti pubblici all’editoria in quanto ‘ente morale’). Il problema rimane quindi riferito agli anni scorsi.
E resta ancora in sospeso il caso del giornalista licenziato su cui sta cercando di far luce anche il senatore Li Gotti. Il cronista aveva fatto ricorso al giudice del lavoro contro il suo licenziamento, sollevando il caso dell’articolo 18: in questo caso non sussisterebbe, a detta dei suoi legali, il licenziamento per “giusta causa”‘, visto che la giusta causa è aver segnalato un illecito poi riscontrato anche dall’Ordine dei giornalisti, che ha sospeso il frate direttore. Il Messaggero di sant’Antonio ha risposto che il licenziamento era motivato dalla mancanza di fiducia nel giornalista e che essendo i frati un “ente morale” non si applicano le normative cui fa riferimento la legge Fornero. Il giudice, senza entrare nel merito, ha rigettato l’istanza del cronista e ora il senatore dell’Idv domanda su quali principi ciò sia stato fatto e quali provvedimenti intende prendere il ministro.