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L’insolito linguaggio dei Soliti idioti

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I soliti idioti, il ritorno. “Disoccupazione, tagli alla spesa pubblica e alla cultura, ma ci indigniamo per il “Dai cazzo” dei soliti idioti”.

Così il produttore Pietro Valsecchi presenta I 2 soliti idioti, ovvero la seconda volta sul grande schermo di Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, da domani in 500 cinema. “Incarniamo la sintesi triviale del rapporto padre-figlio, con un linguaggio nuovo ben colto dai ragazzi”, dice Valsecchi, sottolineando come “i soliti idioti siano dei giullari che mettono a nudo le nostre meschinità: abbiamo difficoltà a guardarci dentro, a ridere di noi stessi. Il loro è un nuovo linguaggio, vero, contemporaneo e trasgressivo: a voi (giornalisti e critici, ndr) il giudizio, a noi l’incasso”.

Che cos’è il politically correct? ”Non esiste, è solo un modo per limitare la libertà espressiva. La nostra volgarità non è gratuita, in giro si sente di peggio”, precisa Biggio, mentre Mandelli rileva come “con estrema esagerazione incarniamo la volgarità del nostro costume: Ruggero è un pupazzo, la parolaccia è un’arma da eroe dei videogiochi e “Dai cazzo” è divenuto un claim. Non potete darci la responsabilità di educare, del resto, non siamo diseducativi, ma distruttivi”. Dunque, ci fanno o ci sono? Vediamo.

Qualcuno scrisse per il Borat di Sacha Baron Cohen: “La stupidità non è mai parsa così intelligente”. Piacerebbe a Biggio e Mandelli, ma non è il caso: “L’idiozia non è mai parsa così intelligente” rimane strozzata in gola. Assieme a qualche risata di troppo. Il problema – a scorrere i giornali parrebbe – non è la volgarità, la trivialità: hanno ragione a dire che il loro è un nuovo linguaggio e a sostenere che è rubato alla realtà fuori schermo, perché quello dei soliti idioti è un nuovo linguaggio. Dal “Dai cazzo” (ci hanno fatto anche le magliette) in giù, parlano solo per parolacce, dunque, le parolacce non sono una punteggiatura, un intercalare, ma hanno forza semantica, sono il discorso, il vocabolario stesso: non c’è soluzione di continuità, indi, la parolaccia è il dizionario. Si può dirlo, non è un linguaggio, ossia un film, volgare, bensì la volgarità fatta linguaggio.

Non sono sofismi, né ermeneutica del trivio, bensì, attestazione di merito: i soliti idioti parlano una lingua altra, e nel piattume – soprattutto natalizio – del nostro cinema è già qualcosa. Pertanto, che nascondino la mano – “Non siamo diseducativi, ma distruttivi”, “Non chiedeteci la responsabilità di educare” – suona particolarmente fastidioso: sono diseducativi, in quanto diseducano al linguaggio corrente (sul grande schermo e non) per “educarci” a un esperanto multiregionale e ipercafone, che rappresenta il distillato di tante parlate gggiovani e substandard, disperse tra la Barona milanese e le borgate romane. Perché lanciare questo sasso linguistico nello stagno immoto del culturame nazionale e poi ritirare la mano?

Fatto sta, il cinema non gli giova troppo: la verve di Mandelli-Biggio viene fuori da gag, sketch, boutade, “aforismi”, che mal si attagliano alla linearità narrativa e all’espansione drammaturgica richieste dal grande schermo.
Non a caso, le meglio cose non sono dei protagonisti assoluti Ruggero De Ceglie (Mandelli) e il figlio Gianluca (Biggio), ma dei tamarri Patrick e Alexio, che aprono il film – e ritornano a singulti – con booster, trifacciale, piumini sgargianti e Minchia Boh dei Club Dogo, esprimendosi con tre parole: minchia, figa, porcodighel. Soliti idioti all’ennesima potenza Patrick e Alexio: vocabolario di tre parole tre, e si fanno capire benissimo. In altre parole, spaccano e trovarli dentro al cinema a vedere un film dice bene dove dovrebbero stare: non sullo schermo, ma davanti, altrove, su altri supporti.

Al contrario, la storia de I 2 soliti idioti impone si seguano Ruggero e Gianluca tra crisi dell’impero familiare dei wurstel e Guardia di Finanza, il matrimonio in vista con l’orrida Fabiana (il padre austero e rigoroso è Teo Teocoli, con – dicunt gli idioti – esplicita ispirazione a Mario Monti) per il pargolo, la liaison con l’improbabile badante Perla Madonna (Miriam Giovanelli) per papà. Ma l’idiozia – letteralmente – non fa storia: rimane il kit per il parcheggio, una zampata di tigre persa nel bosco e altre poche, belle trovate tamarro-situazioniste. Ma non chiamatelo film.  

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