“Striscioni, fiaccole e bavaglio”. C’è un articolo, pubblicato dal Quotidiano della Calabria, firmato da sei giornalisti a tutela di un collega, Giuseppe Baldessarro, che da giorni deve difendersi da chi lo accusa per aver fatto semplicemente il suo lavoro: aver riportato il contenuto della deposizione di un carabiniere nel corso di un processo a carico di un prete di Reggio, don Nuccio Cannizzaro, accusato di falsa testimonianza nell’ambito di un’inchiesta antimafia contro il boss della ‘ndrangheta, Santo Crucitti.
Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno intercettato conversazioni telefoniche e ambientali tra il prelato, noto a Reggio per essere il cerimoniere del vescovo e cappellano della polizia municipale, “con alcuni – scrivono i carabinieri nella loro relazione sul sacerdote – degli esponenti ritenuti quantomeno vicini alla criminalità organizzata operante nei rioni di Condera e Pietrastorta“.
Figli e nipoti di boss che facevano i chierichetti nella chiesa di don Nuccio. Come “Carmelo Lo Giudice, figlio di Fortunato Lo Giudice, ritenuto importante esponente della criminalità organizzata operante nel territorio di Condera, nonché con Antonello Crucitti, nipote di Santo Crucitti”, il boss di Pietrastorta in carcere dopo essere stato arrestato e condannato in primo grado nel processo contro la famiglia mafiosa legata alla cosca De Stefano.
“A me mi hanno bruciato la macchina… non rompete le scatole… con un mafioso bisogna avere un linguaggio mafioso, perché il mafioso deve sapere che nella tua parrocchia non conta”. Don Nuccio più volte è stato intercettato, mentre spiegava il suo modo di vedere il rapporto tra la chiesa e la ‘ndrangheta: “Non possiamo mutuare dalla magistratura i mezzi… loro non possono imporci il loro stile, io il mafioso lo devo avvicinare, perché io devo fare un lavoro pastorale… voi non potete imporci lo stile pastorale-poliziesco, non è possibile. Io in parrocchia ho un sacco di mafiosi, però ho avuto dei successi per certi versi, c’è il figlio del capo boss, del boss del quartiere che ha ventuno anni, mi serve la messa, si fa la comunione ogni domenica, e il padre lo ha contrastato in tutti i modi per non farlo venire… questa è la lotta alla mafia che devo fare”.
Ma quello che ha provocato le ire del prete spingendolo alle dimissioni e a definire Baldessarro “un killer con la penna”, è stata la pubblicazione di alcune intercettazioni un po’ imbarazzanti. Parole in libertà sul rapporto tra i sacerdoti e le donne: “A noi preti – è la frase che ha provocato polemiche – ci dovrebbero autorizzare almeno una volta nella vita a mettere incinta una donna per vedere che effetto che fa, senza sposarla, qualche prete e qualche vescovo lo ha fatto”.
La microspia piazzata dai carabinieri all’interno della Mercedes di don Nuccio ha registrato anche le critiche del parroco di Condera alla sua categoria: “I preti sono falsi – è il riassunto degli inquirenti – aggiungendo che il monsignor Marcianò li ha addestrati alla falsità e alla ipocrisia”. Spuntano anche “le porcate” commesse da un alto prelato: “È malato, capisci che è malato mentalmente, è malato, è pericoloso, farà danni. Prima o poi scoppierà qualche caso… poi vedrai”.
Il riferimento alle donne ritorna spesso nelle conversazioni tra don Nuccio e uno dei suoi interlocutori. “Calcio, pettegolezzi cittadini – riassumono sempre i carabinieri del Nucleo investigativo – Don Nuccio cita la moglie di un sindaco, dice che le donne sono tutte puttane”. “Libertà di stampa non significa libertà di distruggere” è uno degli striscioni che campeggia all’esterno della chiesa di Condera dove ieri è stata organizzata una fiaccolata per difendere il prete indagato che, stando a quanto riferito dal suo avvocato al Quotidiano della Calabria, avrebbe addirittura minacciato il suicidio.