Cronaca

Barletta, reparto anti-cancro da 800mila euro chiuso per mancanza di 4 infermieri

Il blocco delle assunzioni causato dal piano di rientro varato dalla Regione Puglia costa lo stop alla Radioterapia metabolica dell’ospedale Monsignor Dimiccoli, costato quasi un milione di euro e sei anni di lavori a fronte dei 300mila euro e 120 previsti per la consegna

Se provi a darci un’occhiata, ti rispondono che non è il caso. Le porte, quando si apriranno, sarà per l’inaugurazione ufficiale. Tradotto, significa che bisognerà attendere una data che ancora non c’è. Il reparto di radioterapia metabolica dell’ospedale Monsignor Dimiccoli di Barletta è pronto. Da 3 anni. Ma il taglio del nastro non ci sarà. Né per fine anno, né probabilmente per il prossimo. Il motivo per il quale un reparto nato per essere all’avanguardia nel trattamento delle patologie tumorali è fermo da anni, è che mancano quattro infermieri.

Non se ne possono assumere oggi – la Puglia è in piano di rientro e la conseguenza è il blocco delle assunzioni in sanità – e non se ne potranno assumere nei mesi che verranno perché, pur terminando il periodo di ‘carestia’ imposto dall’accordo con il governo centrale, le priorità, avverte il direttore generale della Asl Giovanni Gorgoni, saranno altre. Ad esempio rinforzare i reparti di prima necessità che oggi agonizzano per la mancanza di personale e che giornalmente affrontano le esigenze della popolazione sul filo del rasoio, tentando di assicurare quantomeno i livelli minimi di assistenza. Il beneficio che deriverebbe dall’apertura del reparto è intuibile con un breve calcolo. Oggi la Puglia paga 5 milioni di euro l’anno di mobilità passiva per coprire le trasferte dei cittadini costretti a ricorrere a strutture private o fuori regione per ottenere la stessa prestazione. Se, per contro, il reparto fosse a pieno regime, si riuscirebbe a produrre 1,5 milioni di euro di mobilità attiva. Questo perché quella del Dimiccoli sarebbe l’unica struttura pubblica della regione nella quale effettuare quel tipo di prestazioni. Oggi un pugliese, bene che vada, è costretto a ricorrere alla Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia.

Ma quali sono le cause di tanto ritardo? La risposta dalla ricostruzione dei fatti. Nel 2006 dalla giunta regionale arriva il via libera all’appalto per adeguare i locali al settimo piano dell’ospedale di Barletta. La spesa preventivata è di 274 mila euro. La consegna dei locali fissata 120 giorni dopo. Il primo intoppo sorge a metà del percorso. La Asl chiede una sospensione dei lavori per valutare se quello scelto, sia il posto realmente idoneo per ospitare il reparto. Occorrono quattro mesi per ottenere la risposta. “Si, è il posto giusto”. I lavori riprendono ma dietro l’angolo c’è un’altra complicazione. La ditta aggiudicatrice dell’appalto chiede un risarcimento per il tempo e il lavoro persi per cause non dipendenti dalla propria volontà, oltre che per il deterioramento del materiale. Da 274 mila euro, la somma lievita a 537 mila euro.

I lavori per l’adeguamento dei locali terminano e si passa alla sistemazione dell’impianto fognario, alla piombatura del reparto, all’acquisto di suppellettili, delle attrezzature e dei mobili. E’ il 2010 e la cifra spesa è di 800 mila euro. A questo punto è tutto pronto, compreso i 5 posti letto previsti. Ma la macchina è destinata a incepparsi nuovamente. Ci si rende conto solo a questo punto, infatti, che il blocco del turn over impedisce l’assunzione del personale infermieristico necessario, nonostante i concorsi siano stati annunciati un anno e mezzo prima. La situazione a questo punto è irreversibile, tanto che dal 2010 non c’è stato, ad oggi, alcun passo avanti. A tentare di strappare il velo del silenzio che si è creato attorno a questa vicenda, è stato un consigliere della stessa maggioranza regionale, Ruggiero Mennea. Più volte, non nascondendo toni critici, ha sollecitato l’assessore alla Salute Ettore Attolini a mettere in campo ogni azione utile a far partire un reparto così importante, considerata la delicatezza delle prestazioni effettuate. Ma le risposte non sono state quelle attese. A denti stretti c’è anche chi, nei corridoi dei palazzi del potere, fornisce una propria interpretazione: “E’ la sanità privata che rema contro quella pubblica. Una struttura come questa pesta i piedi a chi, oggi, la fa da padrone”. Qualunque sia il motivo, la realtà è che all’interno del reparto al posto di pazienti, infermieri, medici al lavoro, c’è solo il silenzio. Per il momento la porta resta chiusa.