“Un passo indietro” dei partiti “per aiutare la società civile a fare un passo avanti”. Antonio Ingroia lo chiede rivolgendosi personalmente ai quattro leader delle forze politiche che ascoltano in prima fila al teatro Capranica di Roma: Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, Andrea Bonelli. E non potrebbe essere altrimenti. Perché il nascente fronte arancione si dipana tra due direttrici: da una parte il quartetto dei partiti – Idv, Prc, Pdci, Verdi – e dall’altra il mondo della associazioni e i movimenti. Due dimensioni che si sono contese anche concretamente la première da candidato premier del magistrato antimafia: venerdì pomeriggio al Capranica il debutto di fronte ai leader di partito riuniti dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris con l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, sabato mattina al Quirino l’investitura da parte della società civile riunita in calce all’appello e le assemblee di “Cambiare si può!”.
Si tratta di due ambienti tra cui non intercorre buon sangue, ma che Ingroia intende sicuramente far convivere sotto le nuove insegne delle liste arancioni: da un lato chiedendo appunto ai partiti di fare un passo indietro, dall’altro domandando anche ai movimenti di non assumere un atteggiamento pregiudiziale nei riguardi di candidature che possano essere ricondotte alle forze politiche. Non a caso il magistrato si preme di smentire le interpretazioni drastiche del suo appello ai partiti, affermando che “non c’è nessuna rottamazione di Di Pietro” nella sua iniziativa. Anzi: l’assemblea del Capranica si è aperta con l’abbraccio da De Magistris, Di Pietro e Orlando, nel segno di una ritrovata unità all’insegna dell’arancione.
Niente stelle, falci, gabbiani, bandiere o altri richiami, quindi: il simbolo elettorale in fase di elaborazione rappresenta due mani stilizzate in segno di vittoria incrociate una sull’altra su sfondo arancione. Perché il nuovo polo non dev’essere “un collage, un’accozzaglia di colori, un arcobaleno, ma una nuova identità che nasce e che dobbiamo portare a sintesi unitaria”. Solo a queste condizioni, dice Ingroia, “se riusciamo a realizzare tutto questo, se ci siete tutti, se ci siamo, anche quelli della società civile, io sono disponibile a candidarmi in un movimento unitario per portare questa battaglia avanti anche in parlamento”.
La composizione delle liste costituisce l’altro nodo cruciale del rapporto tra partiti e movimenti che Ingroia vuol cercare di intessere. Deposti i simboli tradizionali, per i partiti si pone l’esigenza di essere riconoscibili almeno attraverso le candidature per esser sicuri di poter guidare il loro elettorato. Allo stesso tempo le forze politiche, come l’Idv o il Prc, faranno pesare anche il loro supporto negli adempimenti elettorali. Per contro, i movimenti reputano indigesta la presenza dei leader di partito, ai quali contestano di tagliare con la loro presenza erba sotto i piedi alla novità rappresentata dalla candidatura Ingroia.
Il diretto interessato, dal canto suo, si pone due ordini di problemi: non solo quello tecnico di poter far conto tra i parlamentari anche di qualche persona d’esperienza, ma anche quello politico di come impegnare gli eletti. Sotto questo secondo aspetto la porta verso il Pd non è mai completamente sbarrata, come d’altronde non la vogliono intendere De Magistris o Di Pietro. E ancora dal Capranica l’ex procuratore aggiunto di Palermo si è rivolto a Bersani per chiedere “un confronto senza pregiudizi” pur “con l’orgoglio della nostra autonomia come polo politico in costruzione”.
Sul piano pratico, invece, chiesto il “passo indietro” ai partiti, nelle file arancioni ci sarà ugualmente una quota di eletti riconducibile ad essi: quali e questi sarà senz’altro uno degli oggetti di maggiore tensione interna. D’altra parte Ingroia per primo vorrebbe aprire il più possibile gli accessi al nuovo polo arancione e alle sue liste. In quest’ottica ha dato nomi e cognomi agli identikit delle personalità cui si rivolge: dal segretario generale della Fiom Maurizio Landini a Luigi Ciotti, da Salvatore Borsellino alle donne di “Se non ora quando”, a Michele Santoro e Sandro Ruotolo. Tradotto in altri nomi e cognomi: per la Fiom potrebbero essere in arancione Antonio Di Luca, uno dei 19 esclusi dalla Fiat e tra i promotori di “Cambiare si può!”, e Bruno Papignani, ex segretario delle tute blu bolognesi in quota Idv. Mentre in Sicilia potrebbe essere candidato Antonio Montale, presidente che ha schierato la Confindustria regionale in prima fila nella battaglia antiracket.