Proprio qualche giorno fa ho lamentato la cattiva abitudine di copiare. C’è chi lo fa agli esami, chi ai concorsi, chi in ogni occasione propizia. Ad esser sincero non ho mai copiato, forse per non dare un dispiacere al mio super-ego che sarebbe stato mortificato dalla necessità di ricorrere a qualcun altro …più bravo.
Per una volta, voglio copiare anch’io.
Ma per non rinnegare la mia fervida convinzione, lo faccio copiando me stesso.
E ne approfitto riproponendo un mio articolo uscito dodici anni fa sulle pagine culturali de “il manifesto” dove allora avevo una rubrica…
E’ la triste storia del destino di Babbo Natale… Leggete e fate girare, mentre vi auguro il Natale più sereno che possiate sognare. Il resto conta poco.
Nelle cerimonie nuziali, chi – oltre gli sposi – deve dire qualcosa è tenuto a farlo al momento o mai più.
Nella nostra circostanza, invece, pur sapendo, siamo stati costretti a rinviare la questione ad altro momento.
In entrambi i casi potrebbe trattarsi di tradizionali corna, protagoniste virtuali ma cocenti nel primo, complemento scenografico ramificato e suggestivo nel secondo. In entrambi i casi, poi, il rispettivo tema può sconvolgere gli equilibri familiari.
Ma a noi per anni è bastato far passare il 25 dicembre per evitare il peggio, perché la faccenda di cui ci si sta per occupare è la non mai abbastanza discussa esistenza di Babbo Natale.
Non andiamo a scomodare scienziati illustri di capillare notorietà, ma prendiamo spunto dallo scritto di due brillanti tizi anagraficamente identificati come Joel Potischman e Bruce Handy, autori di una ricerca che per la sua sconvolgente linearità può sedare ogni dubbio in proposito e troncare ataviche discussioni.
La prima considerazione riguarda gli animali da traino utilizzati dal pacioso signore vestito di rosso e con il viso incorniciato dalla folta barba bianca. Non si conoscono infatti renne che siano capaci di volare e nonostante ci siano almeno 300 mila specie di esseri viventi ancora da classificare – la maggior parte dei quali sono insetti o forme batteriche – non sembra che vi sia qualcosa assimilabile per forma o natura a cervidi di sorta in grado di planare o librarsi nello spazio.
Già traumaticamente titubanti per l’alone di sospetto che – più delle nubi – avvolge il mezzo di locomozione di Santa Klaus, i due irrequieti ricercatori hanno pensato bene di concedersi un volo (invidia per le renne?) pindarico e far partire lo studio da valutazioni antropologiche.
Sul nostro pianeta ci sono – uno più, uno meno – 2 miliardi di bimbi ed adolescenti. La spaventosa cifra, però, correttamente considerata con approccio scientifico e religioso, diminuisce sensibilmente. Babbo Natale, infatti, non si presenta a casa dei ragazzini di fede musulmana, hindu, ebrea e buddista, e questo comporta una riduzione pressoché verticale quantificando il carico di lavoro al solo 15% del totale e quindi a circa 378 milioni di destinatari di regali. Se valgono le risultanze statistiche che indicano la presenza di 3,5 bimbi per ciascuna famiglia, le case che Babbo Natale deve visitare sono – a spanne – 91.800.000.
A fronte di una comunque così vasta platea di interlocutori, il simpatico vecchino elargitore di doni – per sbrigare le faccende di competenza – ogni Natale ha 31 ore a disposizione. Il maggior tempo rispetto alle 24 ore della giornata convenzionale è dovuto ai diversi fusi orari, alla rotazione della Terra e alla presumibile direzione est-ovest con cui (un po’ per dotta reminiscenza delle teorie einsteniane sulla relatività, un po’ per gli infantili ricordi del Giro del mondo in 80 giorni) Babbo Natale viaggia.
Orbene, tenuto conto del cottimista turno di lavoro e della clientela da servire, Santa Klaus dovrebbe compiere 822,6 visite al secondo. Per ogni famiglia cristiana con almeno un bambino buono, Babbo Natale ha un millesimo di secondo per parcheggiare, saltar giù dalla slitta, infilarsi nel camino, riempire le calze, piazzare i regali più ingombranti sotto l’albero, sgranocchiare spuntini e stuzzichini lasciatigli dai padroni di casa che altrimenti si offendono per la non apprezzata ospitalità, risalire il camino nonostante la pesantezza di stomaco per la digestione in continuo esercizio, saltare a bordo della slitta, avviare le renne e muoversi verso la successiva abitazione.
Se a quanto detto si aggiunge che le oltre 91 milioni di fermate sono distribuite in giro per la Terra (e qui Joel Potischman e Bruce Handy si scusano per l’approssimazione), che ogni tappa è di circa un chilometro, che la conseguente percorrenza supera i 90 milioni di chilometri, che il tutto (alimentazione delle renne e relative necessità fisiologiche) deve avvenire nell’arco delle già note 31 ore, si arriva a constatare che la slitta di Babbo Natale si muove a ben oltre 800 chilometri al secondo e quindi a quasi 3000 volte la velocità del suono. Se la valanga di numeri finora citati non è sufficiente per dare idea concreta del fenomeno in questione, si deve sapere che il mezzo più veloce esistente (ovvero la sonda spaziale Ulisse) si sposta a poco più di 40 chilometri al secondo e che una renna “normale” – correndo al massimo delle sue possibilità – non arriva a 25 km/h.
Potischman e Handy affrontano il dilemma inerente l’effettiva esistenza di Babbo Natale con scrupolosa scientificità e il successivo rigoroso elemento considerato è la capacità di carico della slitta. Se ogni bimbo riceve un pacchetto di media dimensione del peso di 900 grammi, la slitta dovrebbe trasportare 321.300 tonnellate senza considerare Babbo Natale che notoriamente è rappresentato – almeno nell’iconografia classica – in sovrappeso. Se a terra una renna “ordinaria” non riesce a tirare più di 135 chili e se si vuole concedere ad una renna volante la forza di trascinare dieci volte il normale peso, non bastano certo le otto o nove renne che di solito sono raffigurate nelle illustrazioni classiche. Velocità esclusa dalla discussione, per il solo spostamento della slitta sarebbero necessarie 214.200 renne con un incremento della massa complessiva che arriva (senza tener conto della tara della slitta) ad un peso di 353.430 tonnellate e cioè a quattro volte il transatlantico Queen Elizabeth.
Non è finita. Le oltre 353,000 tonnellate che viaggiano a molto più di 800 chilometri al secondo incontrano una esagerata resistenza nell’aria che riscalderebbe pazzescamente le renne così come avviene con le navicelle spaziali al loro rientro nell’atmosfera. Il manto di ogni renna dovrebbe assorbire la sproporzionata quantità di energia di 14,3 quintilioni di Joule al secondo. E questo si può agevolmente tradurre nella immediata combustione dei poveri animali, istantaneamente carbonizzati.Naturalmente senza tener conto poi della incommensurabile detonazione acustica per il superamento della barriera del suono per la velocità migliaia di volte più elevata.
In pratica l’intera squadra di renne verrebbe vaporizzata nell’arco di 4,26 millisecondi. Babbo Natale per parte sua – se la resistenza termica del suo costume gli evita di essere incenerito – sarebbe sottoposto ad una forza centrifuga di 17.500 volte superiore alla gravità terrestre. Un Santa Claus da circa 110 chili (magrolino tutto sommato, vista la tondeggiante silhouette che siamo avvezzi immaginare) verrebbe spiaccicato sullo schienale della slitta da una forza pari a poco meno di 2000 tonnellate e più precisamente 1.941.756 chilogrammi.
La conclusione del ragionamento è pressoché scontata. Se Babbo Natale è esistito ed ha mai recapitato doni e balocchi, oggi – dati di Potischman ed Handy alla mano – lo dobbiamo considerare clinicamente morto.
umberto@rapetto.it