Il peggiore servizio all’Europa, come ideale che ispirò a suo tempo personaggi della levatura di Altiero Spinelli, lo rendono varie categorie di persone.
Innanzitutto i suoi attuali governanti, che, Merkel in testa, portano avanti una politica economica ispirata in modo acritico e bovino ai peggiori dogmi del neoliberismo nella sua versione monetarista. Una politica che danna le future generazioni e i lavoratori del continente. E’ a causa di queste politiche dissennate, basate sul dogma dell’autoregolazione dei mercati e dovute all’influenza delle lobby di affaristi e trafficanti che si sono impadroniti delle istituzioni europee, che ci troviamo attualmente in un tunnel dal quale non si intravvede alcuna uscita.
Poi, quei politici italiani, la maggioranza, che usano l’Europa come scusa e feticcio per imporre le loro politiche cieche ed inique. Maestro in questo trucchetto di bassa lega è stato da ultimo l’affatto rimpianto Mario Monti, ma l’evocazione dell’Europa come scusa per la macelleria sociale percorre un po’ tutti gli schieramenti attualmente rappresentati in Parlamento, con pochissime eccezioni. Non è un caso che anche un esponente della “sinistra” Pd come Stefano Fassina invochi oggi l’Europa per sottrarsi al doveroso confronto con Antonio Ingroia, che si candida a leader della lista che nei fatti e non solo a parole sarà contraria alle rovinose politiche neoliberiste.
Insomma, l’Europa conferma di essere guidata, come del resto l’Italia, da una classe politica mediocre e subalterna culturalmente e socialmente alle lobby della finanza.
Esempio evidente di questa grave e suicida subalternità è il Trattato sul cosiddetto Fiscal Compact.
Deve essere ben chiaro che è possibile giuridicamente denunciare tale trattato, nonostante l’assenza al suo interno di disposizioni che prevedano in modo esplicito il relativo potere. Infatti tale potere può essere esercitato, in omaggio ai principi generali del diritto internazionale e all’art. 56 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, tenendo conto della particolare natura del Fiscal Compact Treaty, che riguarda il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, materia di per sé suscettibile di valutazioni e scelte destinate a variare secondo le circostanze. Salve restando inoltre le altre cause di cessazione dei trattati pure previste dalla Convenzione di Vienna, come l’impossibilità sopravvenuta, il cambiamento fondamentale delle circostanze, la forza maggiore, lo stato di necessità. E soprattutto tenendo conto del fatto che, se lo stesso Trattato sull’Unione europea è suscettibile di recesso ai sensi del suo art. 50, sarebbe del tutto illogico che non lo fosse una fonte chiaramente subordinata come il Trattato sul Fiscal Compact, che si limita a regolamentare taluni aspetti, necessariamente peraltro transeunti e congiunturali, delle politiche europee. Si veda in tal senso anche l’art. 2, para. 2, del Trattato sul Fiscal Compact che ne sancisce la subordinazione ai Trattati su cui è fondata l’Unione e al diritto comunitario in genere.
Il recesso unilaterale dal Fiscal Compact costituisce la conditio sine qua non per continuare ad avere, in Italia come nel resto d’Europa, una minima politica di intervento pubblico nei settori cruciali della salute, dell’istruzione, della ricerca, della politica industriale e molti altri. Intervento senza il quale l’Europa si riduce ad un’espressione geografica, territorio aperto alle scorrerie dei predoni senza patria del capitale finanziario, prima salvato dalle iniezioni di denaro pubblico a spese dei contribuenti e poi, come serpi in seno, tornati a dedicarsi alle speculazioni che gonfiano il debito pubblico e impediscono ogni sostegno ai diritti umani. Del carattere esiziale del Fiscal Compact per la politica si avvide del resto, in un momento di lucidità, perfino Pierluigi Bersani.
Il nome dell’Europa viene abusato dalla classe politica asservita alla finanza. Va bloccata la strada senza uscita che le attuali classi dominanti del continente europeo hanno imboccato.
In quanto italiani dobbiamo anche prendere atto della circostanza che, in termini finanziari, paghiamo all’Europa molto di più di quanto riceviamo, anche prescindendo dalle incapacità e incompetenze della classe politica che non permettono neanche di usufruire a pieno delle possibilità offerte in sede europea.
Ma la battaglia contro questa Europa degenerata deve diventare patrimonio comune dei popoli europei, a partire da quelli dell’area mediterranea che in questo momento soffrono più fortemente e direttamente le conseguenze delle sue sciagurate politiche. Questo nodo dovrà essere affrontato dal prossimo Parlamento nel quale dovranno essere presenti forze che sappiano esercitare la doverosa critica ai dogmi neoliberisti che ci stanno costando tanto cari. Dovrà inoltre essere concessa al popolo italiano, seguendo l’esempio dell’Irlanda e di altri, la possibilità di esprimersi, mediante apposito referendum, contro un trattato che sta negando ad esso i diritti fondamentali della salute e dell’istruzione e ne minaccia la stessa sopravvivenza.
Nella piena consapevolezza che i peggiori nemici dell’Europa basata sull’integrazione economica, la coesione sociale e un patrimonio culturale condiviso fondato su democrazia e diritti umani sono oggi proprio le sue classe dominanti. E che la fine del Fiscal Compact costituisce oggi un passaggio ineludibile per un’Europa che sia al servizio dei suoi popoli e non della finanza internazionale.