Pronti 920 moduli abitativi per 3500 persone vittime del sisma del maggio scorso. E nonostante gli addobbi appesi alle case ancora disabitate, si vive ancora il dramma delle tasse non prorogate e della disoccupazione: "Se dovessimo chiedere un regalo a Babbo Natale, vorremmo una deroga al patto di stabilità"
Sette mesi dopo il terremoto anche l’Emilia festeggia l’arrivo del Natale. Là dove le macerie ingombravano le strade e le tende occupavano gli spazi verdi a ridosso dei palazzi storici distrutti, dove si lavora incessantemente giorno e notte per ricostruire le case, le scuole, le fabbriche, le festività hanno, però, un significato diverso. “Sono un’occasione per ritrovarsi come comunità”. Una comunità frammentata dal terremoto, vessata dalla ricostruzione, eppure decisa a lottare per riconquistare la quotidianità.
Nella bassa, tra Modena, Ferrara e Reggio Emilia, i centri storici sono ancora luoghi fantasma, le strade, recentemente riaperte al traffico, sono immerse nel silenzio e pochi sono i negozi che hanno le vetrine illuminate a Natale. Eppure tutto, dalle impalcature ai lampioni, è addobbato a festa. Tutto è sintomo e simbolo di una terra che non vuole arrendersi. “Si spera in un futuro migliore”, dicono con convinzione gli emiliani terremotati. Perché se il sisma ha distrutto gli edifici, la voglia di ritrovarsi assieme, in famiglia, e condividere una festività che, per molti, coincide anche con il tentativo di recuperare la normalità, è forte. Ma c’è ancora molto da fare perché quelle strade, un tempo affollate, ritornino a vivere.
“Quello che è successo si sente, e si sentirà per tanto tempo – racconta Rudi Accorsi, sindaco di San Possidonio, 3800 abitanti, 1450 dei quali evacuati dalle proprie case – il terremoto è ancora qui, nella nostra mente. Ma la popolazione non ha perso i suoi punti di riferimento e ognuno cerca di fare del proprio meglio per ricominciare. Il sisma ci ha unito molto come comunità e questo si sente ancora oggi, dopo sette mesi. Dentro di noi c’è la convinzione che ne usciremo, e ne usciremo bene. E’ chiaro che solo il tempo potrà dire se questo è vero”.
Oggi l’Emilia è un cantiere a cielo aperto, le gru si innalzano accanto ai presepi allestiti nelle piazze riconquistate dopo il terremoto, e dovunque edifici e monumenti sono puntellati in attesa di essere ricostruiti. Ma ricostruire non è facile, servono soldi, e servono subito. E quando si parla di denaro, si finisce per parlare anche di burocrazia. “Se dovessimo chiedere un regalo di Natale allo Stato – spiega Carlo Martini, sindaco di Concordia sulla Secchia – chiederemmo sicuramente una deroga al patto di stabilità: finalmente, almeno in parte, i soldi ci sono, il problema è che non possiamo chiederli finché non siamo pronti a spenderli, altrimenti rischiamo che rimangano bloccati dalla legge”.
“Se dovessi esprimere un desiderio per la mia città – racconta invece Livia Turci, sindaco di Novi di Modena – chiederei sicuramente che gli indennizzi per le prime case e per le aziende siano innalzati al 100%, perché ne abbiamo bisogno per ricostruire. L’80% previsto oggi dalla legge è al di sotto del livello necessario, le aziende e le famiglie non ce la fanno a trovare il denaro per coprire ciò che lo Stato non risarcisce. E se il tetto di copertura non verrà alzato, qualcuno qui rimarrà indietro. Invece non deve rimanere indietro nessuno. Chi andrà al governo dovrà farsene carico”.
Anche perché cittadini e imprese dovranno attendere ancora per ricevere risposta alle richieste di risarcimento presentate, almeno l’anno nuovo. Si parla di gennaio 2013, “ma siamo preoccupati”, raccontano gli abitanti della bassa. Che a Natale si trovano a dover fare i conti con le tasse, con la disoccupazione, la cassa integrazione. “La situazione qui è ancora molto difficile – racconta Alessandro Braida di Finale Emilia – anche se la gente si dà da fare ci sono un sacco di problemi. Quello di aver dovuto pagare tasse e Imu, acconto più saldo, tutto in una volta, ha messo in ginocchio molte famiglie. Ci ha svuotato le tasche. Ci sono tanti che, sebbene non abbiano avuto danni tali da rendere inagibile la propria abitazione, hanno speso o dovranno spendere diverse migliaia di euro di tasca propria per ricostruire, senza pensare di poter recuperare alcunché. Senza contare poi la svalutazione che gli immobili hanno subito in seguito al sisma”.
“Dei soldi se ne parla molto ma ancora dobbiamo vedere un centesimo – chiarisce Federica Battaglia, titolare di una merceria in centro a Mirandola, uno dei pochi negozi che ha potuto riaprire per le feste – gli unici che sono arrivati provengono da donazioni fatte da persone che si sono sentite toccate da quello che ci è successo. Ma dallo Stato e dalla Regione giungono solo promesse, dicono che i fondi arriveranno ma ancora non abbiamo ricevuto nulla, solo il Comune ha dato un bonus di 1.000 euro alle attività che hanno deciso di riaprire in centro”. Per ora, la ricostruzione “è a carico del cittadino”. Certo, “c’è la speranza che questi soldi arrivino e tutto si fa sulla base di questa speranza. Vedremo”.
Le promesse, del resto, “non saldano le fatture”, e molte imprese, in attesa dell’arrivo degli aiuti, sono ferme. “Il lavoro ci sarebbe – racconta una commerciante di Mirandola – ma le aziende sono bloccate perché se pagano il materiale necessario a riparare i capannoni, poi non ci sono più i soldi per retribuire i dipendenti”. E il lavoro è forse il regalo più desiderato nell’Emilia post sisma. “E’ fondamentale, anzi imprescindibile per garantire ai cittadini una vita dignitosa – sottolinea Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro – dobbiamo sostenere le imprese affinché possano tornare a produrre con i ritmi presisma, è necessario per poter veramente ricominciare”.
Sotto l’albero degli Emiliani, quindi, quest’anno, più che doni, si trovano speranze. Tra le quali quella, per molti, di tornare a casa. Per questo in quasi tutti i comuni del ‘cratere’ si lavora, giorno e notte, per montare i 920 moduli abitativi temporanei da destinare alle persone ancora sfollate. 3.500 circa, di cui 1.900 ospitate in strutture alberghiere. San Possidonio è la prima ad aver ultimato i due quartieri di casette prefabbricate, uno al Forcello e uno in via Federzoni, previste per dare un tetto a 210 sfollati, che il 29 maggio hanno dovuto lasciare la propria abitazione. E in queste ore le prime 73 famiglie stanno entrando ‘in casa’.
“Abbiamo fatto il possibile affinché le soluzioni abitative fossero pronte entro Natale perché queste famiglie, che hanno perso la casa, da sette mesi vivono in soluzioni di ripiego ed era giusto che rientrassero in città quanto prima – racconta Accorsi – le casette sono completamente arredate, con bagno, cucina, tv, divano. Le famiglie hanno stipulato un contratto gratuito di 18 mesi, rinnovabile, e speriamo di riuscire a ricostruire le abitazioni entro i prossimi due anni”.
“Sarà un Natale difficile, malinconico”, scrivono sul web gli abitanti del ‘cratere’ “chiediamo solo di non essere dimenticati, di poter ricostruire le nostre case, riprendere a lavorare. Ma da soli non possiamo farcela”. “Chiunque andrà al governo deve ricordarlo”.